Femministe per un’economia del dono

Presa di posizione per un mondo di pace

Dall’alba dei tempi, i doni delle donne hanno sempre creato e sostenuto le comunità, e abbiamo lottato per fare del mondo un posto migliore. Di recente le donne sono state impegnate in nuove forme di protesta, opponendo il rifiuto della guerra e di tutte le forme di violenza, proteggendo l’ambiente e ogni forma di vita, creando centri multipli e differenti spazi politici, e definendo nuove politiche di cura, per la comunità, la compassione e l’interreconnessione.

Le donne, dal nord al sud, soprattutto dai margini del privilegio e del potere, stanno costruendo azioni su visioni alternative. Negli ultimi decenni il movimento femminista ha sviluppato analisi, cambiamenti di paradigma, costruito reti di solidarietà attraverso l’ascolto delle altre. Stiamo ripensando la democrazia, creando nuovi immaginari, perfino riconcettualizzando i fondamenti della società politica.

I movimenti contro la globalizzazione hanno trovato terreno fertile nei nuovi spazi politici creati dalle donne. Il dialogo globale e il network degli uomini, tanto celebrato al giorno d’oggi, segue di molti anni il movimento globale delle donne. Ciononostante è poco conosciuto e la leadership femminista raramente viene invitata. Le prospettive femministe rimangono di gran lunga invisibili all’interno della lotta contro la globalizzazione, e ciò impoverisce non solo le donne, ma la lotta in sé.

Noi donne di diversi paesi crediamo che gli elementi mortiferi del capitalismo e della colonizzazione patriarcale abbiano le loro radici non solo nel diseguale valore dello scambio, ma nel meccanismo stesso dello scambio.

La creazione della scarsità, la globalizzazione della povertà spirituale e materiale e la distruzione delle culture e delle specie non indicano il fallimento di un sistema volto a creare ricchezza. Sono le espressioni centrali di un sistema parassitario centralizzante che nega la logica del dono insita nel materno.

Le tradizionali culture del dono integravano la logica del materno nella comunità più estesa in diversi modi. Attualmente i sistemi socio-economici basati sulla logica dello scambio denigrano e negano il dono, e nel contempo carpiscono i doni di molte donne e uomini, dominando chi dona e distruggendo quello che resta delle tradizionali società del dono.

Ciononostante, il materno è necessario a tutte le società. Dato che i bambini nascono vulnerabili, gli adulti devono praticare nei loro confronti il dono unilaterale. Le donne vengono socializzate a questa pratica che di per se stessa ha una logica transitiva. Gli uomini sono socializzati per staccarsi dal comportamento materno a favore di una logica auto-riflettente di competizione e di dominio. La logica del dono, funzionale e completa in sé, è alterata e distorta dalla pratica dello scambio che richiede quantificazione e misurazione, che è avversativa e instilla il valore dell’interesse personale e della lotta per il dominio. Lo scambio, soprattutto quello monetario, il mercato e le economie capitaliste e coloniali che ne derivano, si formano sull’immagine dei valori e delle ricompense mascolinizzate. E’ per questa ragione che definiamo patriarcale il capitalismo.

Allo stadio attuale del capitalismo patriarcale, le multinazionali sono diventate entità disincarnate, non umane, che seguono i valori del dominio, dell’accumulazione e del controllo senza una razionalità in grado di mitigare e senza quella capacità emotiva che un essere umano dovrebbe presumibilmente avere.

Le multinazionali hanno il diktat interno di crescere o morire. E comunque, perfino il più semplice degli scambi di mercato si impone dall’alto sul dono a tutti i livelli, cancellandone e nascondendone il valore e appropriandosi delle sue largizioni, rinominandole “meritati guadagni”.

Il lavoro gratuito delle donne altro non è che un dono di lavoro, che si stima in una percentuale del del 40% del Pil, addirittura di quello delle economie più industrializzate. Le merci e i servizi forniti dalle donne alle loro famiglie sono doni qualificati che creano la base materiale e psicologica della comunità. Questi doni sono trasferiti dalle famiglie al mercato, che senza di essi non potrebbe sopravvivere.

Il profitto è un dono distorto e forzato, elargito dal lavoratore al capitalista. In realtà il mercato stesso funziona da parassita dei doni di molti. Più il capitalismo si “evolve” e si espande, più i suoi mercati hanno bisogno di nuovi doni, e avviene la riduzione in merce di quei beni comuni che una volta appartenevano alla comunità o addirittura all’umanità tutta. I metodi di espropriazione distruttivi che alimentano il mercato creano anche la scarsità necessaria perché il parassita basato sullo scambio mantenga il controllo. Poiché il dono ha bisogno di abbondanza, il parassita può soltanto impedire al donatore di guadagnare potere creando una scarsità artificiale per mezzo della monopolizzazione della ricchezza.

Il capitalismo patriarcale occidentale è cresciuto in maniera esponenziale invadendo le economie del sud e estraendone i doni. Nel passato ci si era appropriati di interi continenti, frazionando territori e popoli in proprietà private dei colonizzatori e mercificando i loro doni. Oggi, nella nuova forma del colonialismo, il sapere indigeno tradizionale, le specie floreali, i geni umani, animali e vegetali sono stati brevettati e privatizzati in modo che i doni del pianeta e dell’umanità si trasferiscano di nuovo, ad un altro livello, per passare, come profitto, nelle mani di pochi.

I meccanismi di esproprio sono spesso legittimati proprio da quelle istituzioni nate per proteggere la gente. Le leggi sono create per servire il parassita patriarcale, e anche la giustizia si costruisce sull’immagine dello scambio, si paga per un crimine.

Esistono difensori del capitalismo patriarcale a tutti i livelli, dall’accademia alla pubblicità. Perfino il linguaggio che usano è stato rubato, la base comune significante distorta e messa al soldo dei perpetratori della violenza economica. Così il “libero mercato” scimmiotta il linguaggio del dono e della liberazione, mentre è solo una scorciatoia per ottenere ulteriore dominio e sfruttamento.

Anche se il mercato equo sembra essere migliore di quello tradizionale, non è questa la strada alternativa che ci interessa. E’ lo scambio in sé e non lo scambio ineguale che deve lasciare il posto al dono. La risposta all’ingiusta appropriazione dell’abbondanza di doni dei molti non è un equo ritorno in denaro per il maltolto, ma la creazione di economie e culture basate sul dono, dove la vita non viene mercificata.

Sebbene un cambiamento così radicale possa sembrare estremamente difficile, è più “realistico” che continuare semplicemente a cercare di sopravvivere e prenderci cura gli uni degli altri nel mondo d’oggi, spaventosamente distruttivo e sempre più inquinato, perché nel lungo termine questi tentavi sono destinati al fallimento.

Le donne hanno lavorato per cambiare gli spazi politici e negli ultimi decenni hanno ottenuto importanti risultati, per quanto fragili e molto contrastati, nell’affermazione dei diritti legali, sessuali e riproduttivi delle donne, sfidando i fondamentalismi, lottando contro la guerra e la violenza, e migliorando il livello dell’educazione femminile e delle condizioni sanitarie ed economiche. Queste lotte hanno aperto nuovi terreni, anche se restano all’interno del paradigma dello scambio. I nostri successi e i nostri fallimenti ci spronano a cercare nuove strade, ben conscie che “gli attrezzi del padrone non potranno mai essere usati per smantellare la casa del padrone” (Audre Lorde).

Vogliamo una società libera dal mercato, non una società del libero mercato.

Vogliamo:

-Un mondo di abbondanza dove i corpi, i cuori e le menti non dipendano dal mercato.

-Un mondo dove i doni gratuiti della cura siano accettati come i valori-guida più importanti della società a tutti i livelli.

-Un mondo dove gli uomini e le donne possano prendersi curai l’uno dell’altra e dei bambini.

-Un mondo in cui a ognuno sia data la possibilità di esprimere la propria sessualità per manifestare l’amore per la vita, in cui la sua spiritualità sia rispettata e (il suo corpo sia onorato.

-Un mondo dove la fiducia e l’amore siano i fluidi amniotici in cui i nostri bambini imparano a vivere.

-Un mondo dove i ragazzi e le ragazze siano socializzati senza limiti di genere come esseri capaci di donare fin dall’inizio.

-Un mondo in cui madre natura possa essere vista come la grande donatrice, le sua leggi comprese e i suoi infiniti e molteplici doni celebrati da tutti.

-Un mondo dove gli esseri umani e tutte le specie possano raggiungere il loro potenziale più alto nella relazione, invece che il loro potenziale più basso nel parassitismo e nella competitività.

Vogliamo:

– Un mondo dove il denaro non definisca il valore né regoli la legge della sopravvivenza.

– Un mondo dove tutte le categorie e i processi del parassitismo e dell’odio – il razzismo, il classismo, la contrapposizione generazionale, la predominanza dei normodotati sui diversamente abili, la xenofobia, l’omofobia – siano viste come un passato di cui vergognarsi.

– Un mondo dove la guerra sia considerata come espressione non necessaria della sindrome patriarcale di dominio e sottomissione che determina un rituale di morte ridicolmente sessualizzato che si serve di strumenti tecnologici fallici, pistole e missili di proporzioni sempre più grandi.

– Un mondo dove le psicosi del patriarcato siano riconosciute, debellate e non più convalidate come normative.

Creeremo il mondo che vogliamo mantenendo intatta la nostra piena umanità, il nostro sentire e la nostra speranza.

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