Il dono come concezione del mondo nel pensiero indigeno1

di Rauna Kuokkanen

Nel maggioranza dei casi’ il dono è percepito e considerato sia come un paradigma economico (per esempio facente parte di economie locali informali) sia come forma di scambio. Mentre lo scambio può anche essere una forma di economia’ una certa letteratura si chiede se lo scambio di doni sia da considerarsi al di fuori dell “ambito economico; qualcosa che ha luogo nel privato (tra gli individui)’ soprattutto nella società contemporanea. Nonostante sia visto come una forma di scambio avente una funzione puramente economica’ il dono nelle società indigene è il riflesso di una particolare visione del mondo caratterizzata dalla percezione dell”ambiente naturale come un”entità viva che elargisce abbondanti doni alle persone a patto di essere trattata con rispetto e gratitudine (per esempio pretendendo che ci si assuma verso di lei certe responsabilità).2 In questa concezione risulta di importanza basilare il fatto che il mondo sia visto come un tutt”uno formato da una rete infinita di relazioni che si estendono e penetrano nell”intera condizione sociale dell”individuo. I legami sociali si applicano a tutti e a tutto’ incluso la terra. Le persone sono collegate al loro ambiente fisico e naturale attraverso genealogie’ tradizioni orali ed esperienze personali o collettive relative a luoghi specifici. La correlazione è riflessa nei sistemi cognitivi indigeni’ che sono spesso descritti in termini di relazioni e costruiti secondo un modello circolare che consiste soprattutto o unicamente di insiemi di relazioni atte a trovare la spiegazione dei fenomeni. In molti di questi sistemi cognitivi i concetti non sono separati’ ma consistono in “elementi di altre idee a cui erano associati” (Deloria 1999: 48).

E” assodato che il dono funziona soprattutto come sistema di relazioni sociali che forma alleanze’ solidarietà e comunità e “crea legami che uniscono le collettività” (Berking 1999: 35).3 Quello che spesso si ignora’ comunque’ è che il dono nella visione indigena del mondo va oltre le relazioni interpersonali fino a comprendere “tutte le relazioni dell”Io”.4 In altri termini’ secondo questa filosofia’ il dono è una relazione attiva fra il mondo umano e quello naturale basata su una stretta interazione che sostiene e rinnova l”equilibrio dell”ordine sociale e cosmico. Il principio fondante di questa visione – l”intima e intricata relazione con la terra e la comunità – è regolato e affermato tramite doni. Le relazioni formano anche la base etica della visione del mondo indigena e alimentano la sopravvivenza della cultura e dell”ambiente (LaRoque 2001: 67; vedi anche Deloria 1999′ cap. 26).

In questo saggio’ tratterò della filosofia del dono nel pensiero indigeno come manifestazione centrale della relazione che le popolazioni indigene hanno con la terra e il territorio. In questa filosofia’ i doni sono resi e condivisi con il cosmo quale mezzo per mostrare riconoscenza e gratitudine per i doni che la terra e il cosmo elargiscono.
Attraverso l”atto del dono’ la parentela o le relazioni sono attivamente riconosciute’ non date per scontate o ignorate.

Si vengono a creare senso di rispetto collettivo’ reprocicità e responsabilità. In breve’ si può affermare che nelle società indigene il dono è uno dei principi organizzativi attorno al quale ruotano i valori e la percezione del mondo.

Per descrivere alcuni dei principi e degli aspetti generali condivisi nel vedere il mondo nella prospettiva del dono’ prenderò degli esempi dal popolo Sami’ un popolo indigeno dell”Europa del nord’ che’ durante il colonialismo’ è stato diviso tra la Norvegia’ la Svezia’ la Finlandia e la Russia.5 La mia riflessione non è assolutamente uno studio completo delle funzioni’ della filosofia o della logica del dono all”interno del pensiero indigeno – chiaramente una ricerca simile meriterebbe e richiederebbe uno studio separato. Un altro scopo della mia ricerca è quello di sollevare e indirizzare il vasto insieme degli argomenti verso analisi antropologiche’ anche al di là del dono. E” necessario tuttavia spiegare cosa significa discutere del legame che le popolazioni indigene hanno con la loro terra.

Il legame dei popoli indigeni con la terra

Per gli indigeni la relazione con il paese e i territori natii è una questione fondamentale che costituisce la base della loro sopravvivenza come popolo. Nello specifico’ la sopravvivenza non comporta solamente il sostentamento fisico e l”abilità o il diritto di guadagnarsi da vivere’ ma significa che l”esistenza vera e propria di un popolo con una cultura’ un idioma’ una concezione del mondo e un insieme di valori e di saperi dipende dalla terra con cui ha avuto continuamente connessione storica per generazioni. In altre parole’ l”identità collettiva dei popoli indigeni è intrinsecamente legata e inseparabile dal loro ambiente fisico. Il legame profondo che gli indigeni hanno con la loro terra comprende la dimensione culturale’ spirituale’ economica e politica e delle responsabilità (Daes 1999). Il legame che un popolo indigeno ha con uno specifico territorio passa attraverso la sua storia e le genealogie raccontate tradizionalmente e riflesse nella cultura orale – racconti’ canti’ miti’ leggende’ proverbi e altre espressioni verbali.6 Un punto di vista comune tra gli indigeni è che le storie dicono che “noi” siamo un popolo. Sono inclusi i miti delle origini e degli antenati’ la concezione del mondo e i valori’ la capacità di sopravvivere ogni giorno e a lungo termine. Diversi aspetti della tradizione orale hanno radici e sorgono in luoghi specifici e servono a spiegare e a interpretare le esperienze (Basso 1996′ Cruikshank 1990). Il legame con uno specifico territorio si riflette nei nomi dei posti e delle persone: in molte culture indigene’ inclusi i Sami’ le famiglie’ ma anche gli individui sono identificati dai luoghi e dai territori’ e a volte ne prendono anche il nome.
Il rapporto di relazione che le popolazioni indigene hanno con la terra ha anche una dimensione spirituale radicata in una specifica concezione del mondo. Una simile comprensione dell”ordine cosmico enfatizza le relazioni e le interconnessioni piuttosto che la causalità e la separazione dell”umano dal resto del mondo. Jaggie Huggins’ storica e attivista aborigena australiana’ spiega questa concezione come segue:

Come la maggior parte degli aborigeni’ è il mio credo spirituale e religioso’ che tutti noi ereditiamo dalla terra’ che chiamo “terra di mia madre”. Questa terra è il luogo in cui nasciamo’ la nostra “culla”; ci regala legami con le creature’ gli alberi’ le montagne’ i fiumi e tutte le cose che vivono. E” il luogo dei miei sogni. Non ci sono storie d”immigrazione nei racconti del Tempo del Sogno. I nostri miti della creazione sono intrinsecamente legati alla terra. Ecco perché i luoghi e la terra sono così importanti’ indipendentemente da dove e quando si nasce. (1998: 106)

Altri hanno spiegato questa concezione mettendola a confronto con quella occidentale che prevede il dominio e il controllo sulla natura nella relazione umana con il mondo fenomenico (Brody 2000′ Vickers 1998: 142-3).7

In altri termini’ è necessario capire che quando parliamo delle relazioni degli indigeni con la loro terra’ non parliamo di un legame individuale. La questione riguarda piuttosto la visione del mondo – un modo specifico di conoscere e di essere nel mondo che viene trasmesso attraverso valori e pratiche culturali. Naturalmente è importante distinguere la filosofia indigena da un pensiero e una pratica individuali che non sembrano né rifletterla né essere in sintonia con essa.

Cӏ quindi bisogno di una cornice concettuale diversa per capire questo legame
come suggerisce Erica-Irene Daes (1999)’ referente speciale delle Nazioni Unite.

Teorie classiche del dono offerto alla natura

Nel saggio sul dono di Marcel Mauss’ “Essai sur le don’ forme archaïque de l’échange”’ (1967[1924])’ uno dei temi dell”economia e dell”etica del dono è il dono offerto alla natura o agli dei. Comunque Mauss non espone una teoria sul tema’ in parte perché mancano rilevazioni su quest”argomento’ ma anche a causa “della forte connotazione dell”elemento mitico’ che non è stato ancora capito nella sua interezza” (1967: 12). Inoltre’ la maggior parte delle altre considerazioni sul dono offrono pochissima attenzione al dono offerto al mondo naturale’ e sono spesso imbevute di stereotipi sul primitivismo di realtà esotiche e antiche.8 Una delle ragioni per cui molti studiosi non dedicano la stessa attenzione seria e rigorosa ai sistemi di pensiero non occidentali come fanno con quelli occidentali’ è’ come evidenzia Vine Deloria Jr.’ il perdurare del preconcetto per cui i popoli non occidentali rappresentano uno stadio arretrato dell”evoluzione culturale – spesso si pensa che le culture tribali rappresentino i tentativi falliti di capire il mondo naturale […]. Si pensa che il sapere non occidentale nasca dagli sforzi dei primitivi di spiegare un universo misterioso. In quest”ottica’ il palese insuccesso da parte dell”uomo primitivo/tribale di controllare meccanicamente la natura [sic] è la prova della sua ignoranza e incapacità di elaborare principi e concetti generali e astratti. (196: 37)

Le teorie classiche del dono sono di solito caratterizzate da fraintendimenti solo perché l”analisi è sostenuta da paradigmi e pensieri moderni incapaci di cogliere in modo adeguato i significati profondi del dono insiti nel mondo naturale. In altre parole’ c”è bisogno di una teoria del dono che sappia mettere a fuoco quest”area in larga misura trascurata e fraintesa. Ho intenzione di elaborare e riesaminare alcuni aspetti centrali del dono presente nel regno del non umano’ con la speranza di fornire osservazioni critiche sulle teorie del dono che sono state fatte nel passato.

Anzichè vedere riflessa nelle offerte agli dei e alla natura una concezione del mondo basata sul riconoscimento delle relazioni di parentela che vanno al di là dell”ambito umano’ Mauss la definisce “una teoria del sacrificio” secondo cui le persone hanno – devono avere – contratti di scambio con gli spiriti defunti e con gli dei che sono i veri padroni delle ricchezze del mondo. Prende i Toradja di Celebes’ in Indonesia’ come classico esempio di gente che crede “che si debbano comprare gli dei e che gli dei sappiano come farsi ricompensare” (1967:14). Inoltre per Mauss’ “l”idea del ricevere dagli dei e dagli spiriti è universalmente riconosciuta” (ibid.). E” tuttavia un grossolano equivoco sui Toradja e su altre visioni del mondo indigene che si basano su un ordine sociocosmico mantenuto da diverse relazioni insite nell”ordine stesso che coinvolgono necessariamente il mondo naturale e gli antenati. Una donna toradja (o più correttamente i Toraja) spiega che secondo la concezione della sua gente’ che deriva dall”insegnamento degli anziani’ Deata (“Dio” o il “Creatore”) fornisce ai Toraja ogni cosa e che tutte le creature hanno un”anima. I Toraja offrono doni e “oblazioni” per ringraziare Deata di tutto quel che hanno. Dopo il raccolto’ ad esempio’ i Toraja allestiscono una cerimonia per esprimere gratitudine alla stagione. Queste pratiche e il loro senso in definitiva non sono considerate una ricompensa agli dei’ ma una forma di ringraziamento e di rispetto per il mondo naturale (Sombolinggi’ comunicazione personale’ 2004).

In questa prospettiva’ è davvero singolare come Mauss’ critico verso un”interpretazione economica del dono’ abbia deciso di interpretare una pratica che riflette una percezione del mondo che ha come postulato un universo morale basato sul rispetto e la responsabilità verso le altre forme di vita’ tramite una dialettica economica (contratti di scambio’ vendita). Analogamente’ Godbout analizza solo superficialmente la filosofia che soggiace all”offerta “arcaica” e usa un tono condiscendente’ definendo la pratica del dono qualcosa di “strano”’ “bizzarro” e “primitivo” (1998:134).

Pur ammettendo che “il dono rappresenta l”insieme globale di relazioni che racchiude… tutti i poteri personificati che abitano il cosmo primitivo: umani’ animali’ vegetazione’ minerali o divini” (ibid. 135)’ Godbout tuttavia lo riduce in quella che chiama “la strana legge dell”alternanza” che governa le società arcaiche’ fornendo come sola possibilità quella di fare a turno.9

In quest”ottica’ potrebbe benissimo trattarsi di “un primitivo elemento democratico” motivato dalla paura della vendetta e della distruzione (ibis. 134). Questa interpretazione è riduzionista in quanto “è formata da elementi (valori’ strutture’ ruoli di genere) che ha reso naturali senza considerare l”attitudine animista (sic) verso tutto ciò che vive (Kailo’ a seguire). E” anche maschilista’ come sostiene Kaarina Kailo’ perché questo genere di dono “non è necessariamente organizzato nelle linee dicotomiche e conflittuali che molti (teorici) danno per certe” (ibid.). Nelle concezioni del mondo caratterizzate dall”offrire alla terra e ai suoi diversi rappresentanti o ai suoi elementi’ l”enfasi non cade sull”apprensione o sul commercio’ ma sull”esprimere la gratitudine per i suoi doni e la sua parentela.

A partire da Mauss molte teorie sul dono lo vedono come una forma di scambio caratterizzata da obbligo’ contropartita’ rimborso’ debito’ reciprocità forzata e altri atti coercitivi. La tesi centrale di Mauss vedeva il dono costituito da tre obblighi: dare’ ricevere e ridare indietro. Dato che esiste all”interno di precise regole sociali’ il dono è sia obbligatorio che interessato perfino se a prima vista può sembrare spontaneo e senza secondi fini. Per Mauss il dono rappresenta una finzione e il sostitutivo di un”ostilità più profonda’ un”alternativa alla guerra. Nello stesso modo’ Claude Lévi Strauss’ pur tacciando di ambiguità l”analisi di Mauss’ ha affermato che lo scambio è il principio strutturale primario della società. Da questa prospettiva tutte le società sono basate su diverse forme – parentelare’ economica’ famigliare – di scambio.

Seguendo la concezione competitiva di dono di Mauss’ Pierre Bourdieu ha considerato il dono come violenza simbolica’ che per lui è “il sistema di dominio più economico” (1997:218). Quindi il dono alla fine conduce all”accumulazione del capitale sociale costituito da obbligazioni e debiti da pagare’ tra gli altri modi’ anche in forma di omaggio’ rispetto e lealtà. Il capitale produce così il capitale simbolico’ che è ampiamente “frainteso” come qualcosa di diverso quali obblighi’ relazioni e gratitudine. In un sistema simile’ il dono implica il potere che si acquisisce donando (ibid. 217).

Per Bourdieu’ il dono è l”osservanza di “regole morali”’ un negare attivo e la capacità di non vedere la violenza simbolica che vi è impressa. Suggerisce che “l”economia precapitalista è per eccellenza il luogo della violenza simbolica” poiché in questo sistema il solo modo di stabilire e rinforzare relazioni di dominio è attraverso strategie di cui non si può rivelare la vera natura – perché sarebbero vanificate – mentre al contrario devono essere mascherate’ trasformate e diventare eufemismi. E” interessante vedere come Bourdieu manifesti la volontà di interpretare un ordine sociale’ formato alla base da relazioni di non contrapposizione alimentate da responsabilità reciproche’ come il contesto della forma violenta per eccellenza. Non bisogna considerare le comunità indigene romantici esempi nostalgici di civiltà senza violenza’ ma ridurre uno dei principi strutturali portanti’ il dono’ a una violenza’ per quanto sottile e simbolica’ non aiuta a rendere giustizia nè alla complessità della logica del dono né all”ordine sociale che dipendono in larga misura dalla cooperazione e dalla non aggressività.

La violenza non è mai mancata in nessuna società’ comprese quelle degli indigeni che’ come le nazioni’ combattono fra di loro come contro i colonizzatori. Ma per tradizione’ la violenza non ha mai caratterizzato le loro società come invece fa con quelle moderne e occidentali che lo studioso Pueblo Laguna e la scrittrice Paula Gunn Allen chiamano culture della morte; culture dove la presenza della morte è esplicita ovunque intorno a noi (Allen 1990: 30; vedi anche Allen 1986: 127-35).10 Come può essere possibile che l”interpretazione di Bourdieu sia così influenzata dalla sua propria concezione culturale di relazione competitiva e di dominio da non permettergli di vedere logiche e dinamiche altre?

Le analisi della logica del dono di Bourdieu e di molti altri ignorano il dare e il condividere che esiste al di fuori del sistema costrittivo dell”indebitamento’ nonostante i numerosi esempi che indicano il contrario. Ce ne fornisce un esempio l””offerta ai morti” presso i Sami dove a chi muore viene regalato qualcosa che ricordi la sua (di lei o di lui) vita insieme a cibo e tabacco.11 Il tabacco era anche “piantato nella terra per il defunto” ogni volta che una persona passava vicino a una tomba (Bäckman 1978: 35’40).12 La funzione di questi doni di sepoltura presso i Sami non è economica’ ma preminentemente sociale e spirituale’ per assicurare la continuità di una relazione positiva tra il morto e i suoi (di lei o di lui) parenti (ibid.36). Questa forma di dono è spesso chiamata “offerta” al mondo spirituale e perciò considerata separata dal (o una sub-categoria del) dono vero e proprio.

Come altri tipi di vita tradizionali’ l”esistenza fatta di caccia’ pesca e allevamento della renna dei Sami’ dipende da una stabile e continua relazione tra gli umani e i regni della natura. Per questo il saper prendersi cura di questa relazione è stato tradizionalmente parte integrante delle strutture e delle pratiche sociali’ comprese quelle spirituali (cf. Mulk 1994: 127-8).
Il cosmo dei Sami è l”ordine complesso di sfere e reami diversi abitati da uomini’ animali’ antenati’ spiriti’ divinità e guardiani’ ognuno dei quali ha avuto un ruolo e una funzione specifici all”interno di quest”ordine. Un aspetto interessante e quasi completamente ignorato dell”analisi della cosmologia e della “religione” dei Sami è il ruolo delle divinità femminili di donare la vita (sia quella degli uomini che degli animali’ soprattutto quella delle renne) e il legame con la terra. Si può ipotizzare che la divinità sami Máttáráhkká e le sue tre figlie abbiano fondato l”ordine cosmico dei Sami in quanto divinità della vita nuova che portarono l”anima di un bambino e crearono il suo corpo; proteggevano anche le mestruazioni’ la gravidanza e la vita dei bambini (Ränk 1955: 31).

Così il dono più significativo di tutti’ una nuova vita’ è stato il compito di queste divenità femminili che nella letteratura etnografica sono state relegate a mere consorti di divinità maschili (riflesso del pregiudizio patriarcale in queste interpretazioni). Inoltre’ Máttáráhkká si traduce “Madre Terra” ( la radice máttár significa terra e più tardi fu indicata a designare gli antenati). All”inizio poteva essere stata lei stessa un”antenata (ibid. 19). Le parole “terra” e “madre” inoltre’ nel linguaggio parlato dai Sami’ derivano dalla medesima radice (rispettivamente eanan e eadni). Il ruolo delle donne e delle divinità femminili nella cosmologia sami e nell”ordine del mondo del dono e delle relazioni è un”area di studio trascurata’ ma dovrà essere considerata nel prendere in esame il concetto di dono dei Sami.13

La visione cosmica dei Sami si riflette per esempio nel tamburo. Secondo la tradizione’ i più grandi suonatori di tamburo presso i Sami sono stati i noaidis’ le guide spirituali dei siidas’ unità autarchiche sami composte da famiglie estese. Erano anche guaritori e visionari e per questo furono i primi tra i Sami a essere sterminati dalla chiesa e dallo stato (Palto 1998: 28). Ancora oggi ci sono i noaidis’ ma il loro sapere e la loro pratica è molto più nascosta. I noaidis usano un tamburo’ che raffigura il cosmo sami con i suoi elementi e le sue divinità’ per prevedere il futuro o procurarsi la trance che li condurrà in viaggio negli altri regni. In questo modo un noaidis è in grado di comunicare con gli animali e con gli antenati.

La benevolenza delle divinità’ degli spiriti e dei guardiani che condividono i doni della terra con gli uomini ha un ruolo fondamentale per il benessere e la sopravvivenza del genere umano. In questo sistema di pensiero e pratica’ le relazioni con il mondo dello spirito e il cosmo sono assicurate dalla condivisione dei doni della terra’ dal rendere ad essa i resti di un animale e dall”osservare alcune cerimonie e restrizioni che garantiscono la continuità dell”ordine sociale e cosmico’ evitando le gravi rotture che spesso minacciano la sopravvivenza.

Secondo la tradizione’ uno dei modi più importanti per mantenere stabili le relazioni e l”ordine cosmico e sociale è stata la pratica del dono ai diversi sieidis. Il sieidis’ il luogo sacro del dono’ è solitamente una pietra o un pezzo di legno a cui si indirizza il dono. I sieidis si trovano nelle vicinanze di luoghi sacri come campi o aree di caccia e pesca. I sieidis di roccia o pietra sono formazioni naturali dalle forme insolite’ che funzionano da mappatori del territorio soprattutto in montagna. I sieidis di legno sono alberi a cui sono stati tagliati i rami più bassi’ ceppi cavi’ o tronchi caduti. Per i Sami’ i sieidis erano esseri viventi nonostante molti etnografi pensassero fossero solamente strutture e pietre inerti. All”inizio del XX secolo l”allevatore di renne sami John Turi ce ne dà una vivace descrizione:

Alcuni sieidis erano contenti di ricevere corna a palchi’ ad altri piacevano le ossa di tutti tipi’ perfino le più piccole. Un sieidi della pesca non chiede meno della metà del pesce catturato’ ma poi fa arrivare alle reti molto più pesce di quanto la gente possa pescarne. Alcuni sieidis pretendono un”intera renna che deve essere abbellita con ogni sorta di decorazione’ abito’ nastro’ con oro e argento. (1987: 108)14

I sieidis pretendono un”attenzione costante e se trascurati’ le conseguenze possono essere disastrose: la perdita della fortuna nella caccia’ nella pesca o con le renne’ perfino la malattia e a morte. Sebbene la cristianità abbia pesantemente eroso il dono e la condivisione con la terra dei sami’ bandendoli come forme pagane di adorazione del diavolo’ è rimasto un insieme di prove che attestano la sopravvivenza della pratica di donare ai sieidis (Kjellström 1987; vedi anche Juuso 1998: 137).15 Questi doni sono decritti quasi senza eccezioni come “sacrifici”’ soprattutto dalla letteratura etnografica’ e solitamente definiti “offerte” (o doni di scambio) agli dei e alla natura. Il sacrificio non è volontario’ ma determinato da una particolare pressione o condizione’ come un fare a meno di qualcosa per ricevere qualcos”altro. Jacques Derrida mette in evidenza che:

Il sacrificio sarà sempre distinto dal dono puro (se mai esiste). Il sacrificio propone un”offerta ma solo sotto forma di una distruzione contro la quale si scambia’ si spera o si conta su una benevolenza’ cioè un plus valore o almeno un ammortizzatore’ una protezione e una sicurezza. (1992a: 137)

Penso che l”offrire ai sieidis non possa comunque essere capito attraverso il concetto del sacrificio. Anche se i doni dei sieidis possono sembrare sacrifici’ comunque non sono e non possono essere visti solo così. Possono avere dimensioni tanto significative quanto il sacrificio’ se non di più. Alle dee e agli dei sono restituite le ossa’ regalate le renne e con loro viene condiviso quello che si pesca’ la buona sorte nella pesca e con le renne viene rappresentata in prossimità dei siti dei sieidis come espressione di gratitudine per la loro benevolenza e perché assicurino l”abbondanza anche per il futuro. In questo senso’ donare ai sieidis sembra involontario’ poiché è fatto per avere protezione e sicurezza sia per isingoli che per la comunità. Dall”altra parte’ i sieidis sono considerati parte inseparabile del proprio ordine sociale e perciò è responsabilità del singolo e della comunità avere cura di loro. Anche se può sembrare che questo dono sia uno scambio e un”ammenda imposta (specialmente se interpretata nella cornice di una concezione del mondo dall”esterno)’ è piuttosto l”espressione volontaria di una specifica visione del mondo. Nel riflettere la visone di rispetto e intima relazione con la terra del mondo sami’ la pratica del dono ai sieidis è la manifestazione della reciprocità circolare e libera che non dovrebbe essere confusa con la reciprocità costrittiva presente nei sistemi di scambio.

E” naturalmente possibile sostenere che ogni tipo di dono è sempre una forma di scambio e che perfino all”interno della visione del mondo indigena i doni sono scambiati per il benessere collettivo. Nel descrivere la cerimonia dell”orso in cui le ossa sono rese ritualmente alla natura e allo spirito dell”animale’ Kailo nota che anche se potrebbe “avere le radici nello scambio di doni fra i cacciatori’ l”orso e gli altri attori del rito dell”orso (…)’ gli atteggiamenti’ lo stato d”animo’ i valori e il contesto filosofico sono molto diversi.”16 Rileva che’ anche se i racconti etnografici sui rituali dell”orso non riportano in maniera esplicita i paradigmi che sottostanno alle interpretazioni’ si può cogliere l”implicita ideologia del nazionalismo del XIX secolo’ il suo assunto acritico di cultura “primitiva” e le interpretazioni maschili che esaltano il primato dell”interesse personale’ della colpa e dell”aggressione. In altre parole’ di solito queste interpretazioni hanno le loro radici in certe concezioni del mondo’ ideologie e valori che sono colonialisti’ eurocentrici e patriarcali (Kailo’ conversazione personale 2004).17

Supporre che il dono si estenda necessariamente al di là delle interpretazioni di economia dello scambio non è negare il ruolo del dono nella sfera economica delle società indigene. C”è però la necessità di indagare l”influenza economica che sembra informare la maggioranza delle interpretazioni date sul dono arcaico (Godbout 1998: 128). Da questo punto di vista l”intrepretazione di Mauss rappresenta un”eccezione perché riconosce come nelle società arcaiche18 il dono è un “fenomeno sociale totalizzante” di dimensione legale’ economica’ estetica’ morfologica’ politica e domestica (1967: 76-7). Sebbene riconosca che il dono rappresenta vari aspetti e funzioni nella società’ tuttavia l”interpretazione di Mauss tende in molte occasioni a enfatizzarne l”aspetto di economia di scambio’ che anticipa il sistema di mercato attuale e perciò implica una fase evoluzionistica dal primitivismo a forme di scambio più civili e altamente evolute. Scrive: “Possiamo affermare che l”usanza di scambiarsi doni è caratteristico di quelle società che si sono lasciate alle spalle la fase della “prestazione totale”… ma non hanno ancora raggiunto lo stadio del contratto individuale’ il mercato’ la vendita vera e propria’ i prezzi fissati’ la moneta coniata” (ibid. 45).19 Nonostante la capacità di Mauss di vedere la complessità del dono nelle società “arcaiche”’ la società occidentale e i suoi modelli sono la norma a cui le altre società e le altre pratiche devono essere inevitabilmente paragonate.

Tipi diversi di reciprocità

La logica sottesa al paradigma dello scambio è che i doni non possono essere dati senza ricevere una contropartita sicura. La reciprocità’ definita solitamente come rendere in tipologia o quantità’ è considerata come condizione del dono da molti teorici. Secondo Bourdieu il dono rimane non corrisposto solo quando lo si dà a una persona “ingrata” (1997: 190). Questo genere di reciprocità obbligata – “un dare-e-prendere binario” (Hyde 1983: 74) – enfatizza il movimento dentro e fuori di sé’ cercando di mantenere l”indipendenza dell”Io. Richiede che i doni siano “ripagati” rendendo l”esatto valore in modo da mantenersi integri e indipendenti dagli altri. Nella reciprocità costrittiva’ basata sulla concezione individualista e sull”enunciato del soggetto cartesiano’ dipendere dagli altri è considerato un fardello.20 Il modello auspicabile del soggetto individualista vive la dipendenza dagli altri con ansia’ il tipico atteggiamento dell”essere “senza restrizioni” o “in condizioni di parità” che favorisce l”esistenza di individui separati’ chiusi in se stessi con responsabilità infime verso gli altri (cf. Tyler 2002: 78). Paradossalmente’ ricevere doni in questo modello è considerato un fardello perché implica di dover restituire qualcosa di pari valore al donatore:

Dietro ogni dono si nasconde la motivazione recondita di chi dona aspettandosi un ritorno’ e per chi riceve è la percezione di una motivazione nascosta da parte di chi dona che lo obbliga a “dare quanto riceve” in modo da ritenersi libero da qualsiasi obbligo o’ viceversa’ trovarsi imprigionato in una relazione di reciprocità di scambi nel tempo. (ibid.)

Secondo questa logica’ la dipendenza e la responsabilità sono viste come qualcosa di negativo – un obbligo e un dovere esterno imposto dagli altri’ sia dagli individui che dalla società in generale. Vissute in questo modo’ le responsabilità non sono più viste come necessarie al benessere individuale o comunitario (anche se lo sono) – è stata cioè indebolita la connessione dell”Io con il mondo.21 Per Hélène Cixous (1981)’ quest”ottica è il riflesso dell”economia maschile caratterizzata dal disagio quando ci si trova di fronte alla generosità. Come alternativa’ suggerisce le economie femministe che non implicano forme di scambio’ ma affermazione della generosità e pratiche di relazione. Questo è anche il tema centrale di Genevieve Vaughan che afferma che la generosità è problematica perché “è un modo di mantenere l”interesse personale dalle due parti coinvolte nell”interazione” (1997: 58). Anche altri hanno messo in contrapposizione l”idea della stretta reciprocità del dono’ vedendo la reciprocità costrittiva opposta al dare e al ricevere spontanei. Nell”opinione di Derrida (1992a)’ è proprio la reciprocità che rende impossibile il dono. Secondo lui’ il prerequisito del dono è che non è né riconosciuto né reciproco. Una volta che il dono viene riconosciuto’ cessa di essere un dono e diventa un oggetto di scambio.22

Hyde d”altra parte sostiene che esistono due forme di dono’ quella reciproca e quella circolare’ che differiscono l”una dall”altra in molti modi. Il donare reciproco è la forma più semplice dello scambio del dono mentre in quella circolare si deve dare alla cieca’ per esempio “a qualcuno da cui non ricevi (e tuttavia ricevi da qualche altra parte)” (Hyde 1983: 16).23 La condizione del dono’ secondo lui’ non è la reciprocità costrittiva ma la circolazione del dono in movimento: “(un) dono che non può essere spostato perde le sue proprietà di dono” (1983: 8). La circolazione dei doni è riconosciuta anche da Mauss che sottolinea che “è qualcosa di diverso dall”utilità che fa circolare i beni in queste società multiformi e illuminate dalla giustizia” (1967: 70).

La reciprocità è diffusamente citata come una delle dimensioni centrali del pensiero indigeno. Derivata dalla visione del mondo e dalle pratiche strettamente legate al mondo naturale’ comprende gli aspetti del condividere e del restituire. Come tipo di reciprocità’ tuttavia’ va oltre il binario riduttivo del “dare e prendere” e molto spesso assume la forma di una condivisione e una reciprocità circolare’ che a volte è definita “reciprocità rituale” (Kailo’ Richter 2001: 14-5).24 In questo tipo di reciprocità i doni non sono dati principalmente e soprattutto per ricevere in seguito una contropartita’ ma per raggiungere effettivamente un senso di parentela e di coesistenza con il mondo’ senza il quale sarebbe impossibile la sopravvivenza (degli esseri umani’ ma anche di tutti gli altri esseri viventi). La funzione principale della reciprocità circolare o rituale è riconoscere la miriade delle relazioni nel mondo’ da cui deriva il senso della necessità collettiva e individuale “di agire con responsabilità verso le altre forme di vita” (Deloria 1999: 51).

Diviene implicita quindi la respons-abilità – o capacità di rispondere –’ la capacità di rimanere in armonia con il mondo al di fuori dell”Io e la volontà di riconoscerne l”esistenza per mezzo di doni. Questo senso di responsabilità insito nel dono è il risultato di vivere all”interno di un ecosistema e di dipendere da esso; perciò le popolazioni indigene continuano a dipendere dalla loro terra e dall”ambiente naturale circostante da un punto di vista culturale’ sociale’ economico e spirituale. E” del tutto ovvio che questa concezione resti al centro delle filosofie indigene mentre per molta altra gente questa connessione e questa relazione preesistenti hanno iniziato a erodersi da generazioni sotto l”effetto della modernizzazione’ dell”urbanizzazione e di altri fenomeni fin dal Rinascimento e dall”Illuminismo’ effetto che oggi continua sotto forma di neocolonialismo’ di capitalismo’ di consumismo e di globalizzazione.25

Nella reciprocità circolare’ la responsabilità è comunemente vista come parte integrante dell”essere umano ed è una parte inseparabile dalla propria identità. La scrittrice okanagan Jeannette Armstrong’ esprime questo modo di concepire la responsabilità all”interno della sua relazione con l”ambiente circostante:

So che le montagne’ e per nascita’ il fiume è mia responsabilità:

Sono parte di me. Non posso separarmi dal mio posto o dalla mia terra.

Quando mi presento al mio popolo nella mia lingua’ io

parlo di queste cose perché dicono della mia responsabilità

e del mio fine. (1996: 461)

Il senso di sé di Armstrong non è limitato a se stessa in quanto individuo’ ma dal fatto che è inseparabilmente legata a un certo posto verso il quale ha determinate responsabilità. Riconoscendo queste responsabilità sa qual è il suo posto e il suo ruolo; in breve’ sa chi è (ibid. 462). Un modo usuale di assumersi questa responsabilità’ oltre a non dare per scontato che garantisca risorse e agi’ è di prendere coscienza che si realizza attraverso i doni’ e riconoscerli condividendoli.

Queste consapevolezza deriva da una percezione del mondo in cui l”integrità delle montagne e del fiume è collegata al suo benessere personale e a quello della sua comunità. Si può anche dire che è una consapevolezza che non separa l”Io dal mondo in modo tale che diventa impossibile vedere gli esseri umani separati dal resto del creato. E” imperniata sull”idea che la responsabilità personale e quella collettiva nei confronti dell”ambiente naturale siano il fondamento della società. (Happynook 2000).26 Tom Mexsis Happynook’ membro Nuu-chah-nulth del Concilio mondiale dei balenieri esprime il concetto nel modo seguente:

Quando si parla di pratiche culturali indigene’ si tratta nella fattispecie di responsabilità che nei millenni si sono evolute in leggi tribali non scritte. Le responsabilità e le leggi sono legate direttamente alla natura e sono il prodotto della lenta integrazione di culture con l”ambiente e l”ecosistema. L”ambiente non è un posto che genera divisioni’ ma piuttosto relazioni’ un posto dove le diversità culturali e le biodiversità non sono separate’ anzi necessitano le une delle altre. (2000)


1. Ringrazio la Dott.ssa Kaarina Kailo per i suoi preziosi commenti a questo articolo. Esprimo anche riconoscenza per il sostegno e la guida costanti che mi ha dato mentre ricercavo nelle stravaganze del mondo accademico. Torna alla nota 1 nel testo.↩

2. Con il termine “popolazioni indigene” intendo quelle popolazioni o quegli individui che sono considerati indigeni secondo la Convenzione ILO N.169 (1989) e il Rapporto Cobo (1983). Nonostante non ci sia una definizione fissa di popolazioni indigene’ quelle contenute in questi due documenti sono ampiamente accettate come definizioni informali abbastanza appropriate. Mettono in rilievo la continuità storica di un territorio invaso o occupato da altri così come lo status di non dominio all”interno della società. E” importante fare una distinzione tra popolazioni indigene e minoranze’ gruppi o popoli (etnici). Ci si riferisce alle popolazioni indigene come a popolazioni che sono ancora sotto il colonialismo o non hanno comunque uno stato nazionale. Torna alla nota 2 nel testo.↩

3. Oltre a Mauss’ anche altri scritti recenti come quelli di Durkheim (1964)’ Lévi-Strauss (1987) e Sahlins (1972). Torna alla nota 3 nel testo.↩

4. L”espressione “tutte le mie relazioni” ( o “tutti i miei parenti”) è comunemente usata tra gli indigeni del Nord America come invocazione o benedizione legata alle cerimonie e ai raduni. (Deloria 1996: 41). Inoltre’ come sostiene Deloria’ la frase “descrive l”epistemologia della concezione indiana del mondo’ fornendo la base metodologica per la raccolta delle informazioni sul mondo” (1999: 52). Torna alla nota 4 nel testo.↩

5. All”inizio chiamati Lapponi o abitanti della Lapponia’ i Sami hanno rivendicato il diritto di usare il proprio nome che deriva dalla loro lingua (per i Sami del nord’ il termine è sápmelas). Inoltre i termini Lappone o abitante della Lapponia sono considerati negativi e devianti e oggi sono usati in particolare dai finnici che abitano la Finlandia del nord (aka Lapland) per definirsi’ creando ulteriore confusione nel quadro già complesso e conflittuale dei diritti dei Sami sulla loro terra. Torna alla nota 5 nel testo.↩

6. Si definisce spesso la tradizione orale “folclore”. Ma molti non occidentali hanno rifiutato la definizione. Gli scrittori meticci e la critica Emma LaRoque’ ad esempio’ spiegano come ” le tradizioni orali siano state liquidate come folclore selvaggio e primitivo. Questa rimozione ha avuto come base il mito asservito alla cultura coloniale secondo il quale gli Europei (e i loro discendenti) erano/sono più sviluppati (i “civilizzati”) delle popolazioni aborigene (i “selvaggi”)” (1990: xvi). Le diffuse dicotomie del paradigma occidentale tra cultura alta e cultura bassa’ tra letteratura e folclore’ tra storia e leggenda’ tra scritto e orale sono state sempre più sottoposte a critiche e decostruzioni alla luce delle più recenti teorie post-strutturaliste’ dalle riflessioni post-moderne e femministe nonché dalla crescente critica degli stessi popoli indigeni ( e non occidentali). Torna alla nota 6 nel testo.↩

7. Nella Genesi (1:28)’ per esempio’ agli esseri umani viene ordinato di “crescere e moltiplicarsi’ popolare la terra e sottometterla”. In seguito questo concetto è stato secolarizzato dall”epistemologia cartesiana caratterizzata dal dualismo’ dal meccanicismo e dal distacco (assunto della filosofia greca classica’ espresso in particolare nei discorsi di Platone). Come ci fa notare Susan Bordo’ la separazione dell”Io dal mondo (uomo/natura)’ non è stato un innocente esercizio filosofico’ ma è stato caratterizzato dall”imposizione di un valore e una gerarchia a queste categorie. La mente è stata insignita di qualità divine’ quali la libertà’ la volontà e la coscienza’ mentre il corpo e la natura rappresentano la “res extensa”’ l”inconscio’ la materialità bruta’ “totalmente separati dalla ragione e dal pensiero” (Bordo 1987: 99). Questo modo di pensare continua oggi nelle ideologie e nelle pratiche del neoliberismo che guardano alla natura come a una fonte di possibile profitto’ mettendo in serio pericolo la sopravvivenza delle popolazioni indigene’ delle comunità’ delle culture e della vita. Si veda ad esempio la Dichiarazione Internazionale delle Popolazioni Indigene di Cancun (2003) che rende evidente come il programma economico della globalizzazione e del neoliberismo e le loro politiche abbiano determinato brutali violazioni del diritto all”autodeterminazione’ alla terra’ al sapere’ alla cultura e all”identità delle popolazioni indigene. Torna alla nota 7 nel testo.↩

8. Per esempio’ Sahlins considera il dono “il contratto sociale dei primitivi” (1972: 169). Torna alla nota 8 nel testo.↩

9. Anche Berking afferma che nelle società “arcaiche’ nessuno può evitare il dovere del dono che “non può semplicemente essere paragonato al ciclo riproduttivo della comunità sociale”’ visto che include gli dei e i defunti (1999: 34). Torna alla nota 9 nel testo.↩

10. Sulla violenza nelle comunità indigene contemporanee’ vedi ad esempio LaRoque (1993). La studiosa indica’ come molti altri’ che la causa principale dei problemi e della violenza sociali presso le comunità native contemporanee deve vedersi nel processo progressivo della colonizzazione. LaRoque afferma che: “Ci sono nelle società aborigene indicatori della violenza alle donne anche prima del contatto con gli Europei. (…) Non bisogna pensare che i matriarcati impediscano necessariamente agli uomini di manifestare un comportamento oppressivo nei confronti delle donne. (…) Non ci sono dubbi comunque che l”invasione europea ha esacerbato sia l”estensione che la natura e la potenziale violenza che erano presenti nelle culture originali”(75). Torna alla nota 10 nel testo.↩

11. Hyde chiama questo tipo di doni “doni della soglia” o “doni di passaggio” (1983: 40’41). Torna alla nota 11 nel testo.↩

12. Louise Bäckman’ studiosa sami delle religioni’ rileva che ” in tempi pre-cristiani i morti venivano sepolti in tombe individuali in mezzo alla natura selvaggia” (1978: 30). Torna alla nota 12 nel testo.↩

13. Sarebbe utile seguire questa linea di pensiero’ ma tale compito va al di là dello scopo di questa ricerca. Torna alla nota 13 nel testo.↩

14. Traduzione inglese mia. Torna alla nota 14 nel testo.↩

15. La “religione” sami ha richiamato l”attenzione degli stranieri per secoli ed è stata il soggetto di numerose ricerche etnografiche’ antropologiche e religiose in tutto il mondo. Vedere’ per esempio’ Ahlbaäck (1987)’ Bäckman e Hultkrantz (1978)’ Holmberg (1987)’ Karsten (1952)’ Manker (1938′ 1950)’ Pentikäinen (1995)’ Scheffer (1751)’ Sommarström (1991) e Vorren (1962). Torna alla nota 15 nel testo.↩

16. Secondo Kailo’ il rituale dell”orso è “lo sforzo di restituire e pagare all”animale totemico (che) è venerato come se fosse un quasi-parente”. Per tradizione’ i Sami hanno sempre praticato le cerimonie dell”orso. Torna alla nota 16 nel testo.↩

17. Kailo si chiede anche se i punti di vista degli assunti occidentali sulla natura umana’ spesso dati per scontati’ siano ad esempio più corretti e legittimi di quelli indigeni e se tali considerazioni non siano per forza interpretazioni’ dato che l”umanità e la natura umana non possono essere misurate scientificamente. Torna alla nota 17 nel testo.↩

18. Il termine “società arcaiche” è usato da Mauss per indicare le società indigene e non occidentali che mantengono un legame vitale e attivo con le loro pratiche sociali e culturali. Parlare della logica del dono nelle società e nelle filosofie indigene non vuole significare che simili valori non siano presenti in altre culture o società. Il valore del dono e della condivisione’ così come il senso di responsabilità verso gli altri’ si trova in molte altre culture e religioni’ incluso il cristianesimo (vedi ad esempio Derrida 1992b e 1997). Torna alla nota 18 nel testo.↩

19. Bataille (1998) è critico su questo punto e mostra gli effetti del modello meccanicista su quell”analisi dell”esistenza umana che cerca di ridurre tutti questi aspetti all”equazione economica classica tra produzione e consumo. Torna alla nota 19 nel testo.↩

20. Mi riferisco all”individualismo che si è radicato soprattutto durante l”Umanesimo e il Rinascimento e che ha messo un forte accento sul singolo individuo autosufficiente e indipendente’ le cui libertà e possibilità venivano viste come illimitate. Non si afferma che la nozione di individuo sia inesistente presso le comunità indigene. Emma LaRoque asserisce che il problema individuo verso comunità è più complesso di come viene generalmente percepito sia da molti non nativi che nativi. Sostiene che “la questione dei diritti “individuali” verso quelli della”collettività” è l”esempio perfetto di come i nativi entrino in strutture culturali quando sono catalogati dalla tradizione democratica e liberale occidentale associata all”individualismo. Forse è stato inevitabile per i leader nativi aver dovuto enfatizzare i diritti collettivi in modo che fossero culturalmente praticabili. Comunque il fatto che queste culture native siano organizzate in modo egualitario non significa che le popolazioni native agiscano secondo l”istinto di una mandria di bufali senza alcun riguardo per il benessere degli individui!” (1997: 87). Torna alla nota 20 nel testo.↩

21. L”esclusione radicale e la gerarchizzazione degli aspetti dell”Io e del mondo hanno una lunga storia nella tradizione intellettuale dell”Occidente’ che parte dai filosofi greci e viene in seguito articolata da Cartesio. Sebbene non sia lo scopo della mia indagine sondare nei dettagli questo punto’ sarebbe bene indicare almeno che questa è una delle differenze cardine tra la tradizione filosofica dell”Occidente e i mondi degli indigeni (Silko 1996: 37 e Mander 1991: 212-24). Amstrong ha sottolineato come gli insegnamenti tradizionali degli Okanagan e le loro profezie avvertano che “allontanandoci dal mondo naturale ci stiamo precludendo la capacità di vivere bene. Questo è ciò che gli anziani hanno detto a quelli della mia generazione. Ci stiamo precludendo quella capacità che avevamo una volta e che ci dava buone possibilità di vivere una sana relazione fra di noi come popolo e con il resto del mondo” (2000: 7). Torna alla nota 21 nel testo.↩

22. Non si vuole qui discutere nel dettaglio le argomentazioni di Derrida. Nella mia tesi di laurea’ menziono quelle linee del pensiero di Derrida (e di altri) che sono dovute a luoghi comuni’ cosa che spesso in ambito accademico viene considerata ignoranza. “Gli epistemi indigeni restano il dono impossibile.” (Kuokkanen 2004). Si può trovare la versione completa di questo articolo nella mia tesi. Torna alla nota 22 nel testo.↩

23. Come esempio del donare circolare Hyde cita la circolazione del kula presso i Papua delle isole Trobriand’ Nuova Guinea’ una delle pratiche circolari del dono meglio conosciute dalla tradizione europea sul folclore’ insieme alle molte leggende di quella società. Per il kula’ vedi Malinowski (1922′ cap. 3). Torna alla nota 23 nel testo.↩

24. Non si deve ritenere che la circolazione dei doni (o dei beni) esista solo nelle società indigene o “precapitaliste”. Secondo Rodolphe Gasché anche la moderna economia è caratterizzata dalla circolazione. Tuttavia la circolazione all”interno dell”economia moderna “tende a essere in qualche modo inadeguata perché in base al privilegio riservato all”accumulazione produce totale povertà. Il privilegio accordato all”accumulazione causa un” occlusione nel cerchio e rende vana qualsiasi azione compensatoria” (1997: 107). Torna alla nota 24 nel testo.↩

25. Le differenze fra i due sistemi di pensiero non sono ovviamente assolute. Molti concetti della modernità sono imbevuti della tradizione cristiana dell”ospitalità. Torna alla nota 25 nel testo.↩

26. Happynook osserva come all”interno di un contesto coloniale queste responsabilità siano state costrette nella categoria “diritti degli aborigeni” e di solito debbano essere difese “in un sistema di giustizia avverso.” Ebbene’ questi diritti hanno la loro origine principalmente e soprattutto nelle responsabilità (2000: 11). Torna alla nota 26 nel testo.↩

In molte interpretazioni classiche del dono alla natura proprio della visione del mondo indigena’ le analisi sulle concezioni indigene di responsabilità si basano spesso su assunti originati da visioni e valori differenti che sono ciechi davanti ad altri modi di conoscere il mondo e di relazionarvisi. Per esempio Bourdieu sostiene che la circolazione dei doni non è altro che la “concatenazione meccanica di pratiche obbligate” (1997: 198). Mentre non è errato supporre che il dono alla natura è una delle varie forme di socializzazione per mezzo della quale l”individuo impara a conformarsi alle norme e alle regole della sua cultura; é però estremamente riduttivo e superficiale interpretare la pratica del dono indigeno (o di qualche altro tipo) come una mera regola a cui si obbedisce e ci si conforma ciecamente solo per senso del dovere. Questo giudizio manca della comprensione di etiche differenti e di altri modi di stare nel mondo e in questo nega popoli e culture altri. Non è una pratica osservata meccanicamente: il dono alla natura è la base del comportamento etico e la manifestazione materiale di una visione del mondo che enfatizza il primato delle relazioni e dell”equilibrio nel mondo’ dai quali dipende il benessere di tutto ciò che esiste.

Traduzione italiana dell”Anonima Network


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