Genevieve Vaughan
Nel novembre del 2004 si è tenuta a Las Vegas, nel Nevada, la conferenza “Un punto di vista radicalmente diverso sul mondo è possibile: l’economia del dono dentro e fuori il capitalismo patriarcale”. La conferenza ha avuto luogo proprio dopo che le elezioni presidenziali statunitensi avevano fatto vacillare le persone di buona volontà con la rielezione di George W. Bush, evento che qualcuno classifica come il suo secondo furto della carica presidenziale. In ogni caso, anche se Bush II non avesse vinto, il capitalismo patriarcale1 avrebbe continuato per la sua strada che minaccia la vita. La conferenza,e ora anche il libro, sono dei tentativi di rispondere al bisogno di un cambiamento profondo e durevole in un’epoca di pericolosa crisi per tutti gli umani, le culture e il pianeta. Questo obiettivo non può essere raggiunto senza una nuova prospettiva, un cambio di paradigma che porti con sé una visione radicalmente diversa della natura dei problemi e delle alternative.
Ho lavorato a un cambio di paradigma verso un’economia del dono per parecchi anni, sia come ricercatrice indipendente, sia come fautrice della Fondazione Femminista per una Società Compassionevole che, pur abbracciando un orizzonte internazionale, ha avuto sede ad Austin, in Texas, dal 1987 al 1998, e in seguito ha funzionato in maniera ridotta dal 1998 al 2005. Quando fu chiaro che l’opera della Fondazione non poteva più continuare per mancanza di fondi, abbiamo deciso di tenere due conferenze come ultimi due progetti di una certa rilevanza. Questo libro sulla visione del mondo dell’economia del dono rappresenta la prima di queste conferenze. La seconda, dedicata agli studi matriarcali, si è tenuta a settembre/ottobre del 2005 sotto la direzione di Heide Goettner-Abendroth (sua seconda conferenza internazionale sull’argomento).
Penso che parlando di un’economia del dono, noi stiamo nominando qualcosa che stiamo già facendo, ma che viene celata sotto una miriade di altri nomi e che è tanto irrisa quanto fraintesa. Questo è un passo importante per cominciare a far circolare il suo nome e a fare conoscere la sua presenza in molti e diversi ambiti della vita. E’ importante ricreare anche le connessioni, che sono state recise, tra l’economia del dono, le donne e le economie delle popolazioni indigene, e proporre il paradigma del dono come un approccio che ci può aiutare a liberarci dalla visione di mercato che sta distruggendo la vita sul nostro bel pianeta.
Durante tutti gli anni in cui ho partecipato al movimento internazionale delle donne, ho conosciuto molte, moltissime donne stupende. La maggior parte di coloro che sono state invitate a parlare alla conferenza viene da questi incontri. Ho avuto l’onore di conoscere un gran numero di donne indigene in questo modo e così mi è stato possibile invitarle a parlare alla conferenza, che a dire il vero non si sarebbe potuta tenere senza la loro partecipazione. Tutte le relatrici, accademiche o attiviste, sono a loro modo delle donatrici. Alcune avevano riflettuto a lungo sull’economia del dono, altre erano nuove a questo pensiero. Credo però che tutte loro abbiano trovato illuminante sentire discutere dell’economia del dono in così tanti contesti differenti. Ne hanno parlato circa 35 donne provenienti da 20 paesi diversi. Durante il week-end hanno partecipato alla conferenza tenutasi all’auditorium della Biblioteca Municipale di Las Vegas, nel Nevada, donne e uomini provenienti da tutti gli Stati Uniti. La scelta del posto è stata fatta sia perché volevamo cogliere il vantaggio dei voli aerei a buon mercato, sia per essere vicini al Tempio di Sekhmet, uno dei progetti della Fondazione, costruito nel deserto vicino a un sito di sperimentazioni nucleari del governo statunitense. Comunque, forse Mililani Trask ha dato la miglior descrizione della scelta quando ha commentato: “Quale luogo migliore di Las Vegas per offrire un’alternativa al capitalismo da casinò”?
La conferenza e il libro sono tentativi di dare un senso all’unità del movimento femminista e chiedere potere per il valore e il lavoro delle donne nei movimenti misti che si oppongono al capitalismo patriarcale. Un’analisi che colleghi i diversi livelli e aree di vita sulla base di un paradigma alternativo, può suggerirci che molto di quello che il patriarcato ha messo in gioco è artificioso e non necessario. Un paradigma alternativo che veda le donne come modello dell’umano e il patriarcato come fondato sul rigetto da parte dei maschi della loro propria umanità (femminile) può fornire le basi di un programma politico che superi le divisioni del presente. Una cornice del tutto diversa può rendere possibili strategie differenti ed eliminare alcune soluzioni che potrebbero riportarci tutti (donne e uomini) sotto il controllo patriarcale in forme diverse.
Per fare una tale analisi noi distinguiamo fondamentalmente tra il donare da un lato e lo scambio dall’altro come due logiche distinte. Nella logica dello scambio, un bene è dato per ricevere in cambio il suo equivalente. Viene fatta un’equivalenza di valore, una quantificazione e una misurazione. Nel dono, uno dà per soddisfare il bisogno di un altro e la creatività nell’usare i doni di chi riceve è importante quanto la creatività del donatore. L’interazione del dono è transitiva e il prodotto passa da una persona all’altra creando una relazione di inclusione fra chi dona e chi riceve tramite quello che viene dato. Il donare implica il valore dell’altro, mentre la trans-azione dello scambio, fatta per soddisfare i propri bisogni, è autoriflettente e implica solo il proprio, di valore. Donare ha un aspetto più qualitativo che quantitativo, è orientato verso gli altri piuttosto che verso il proprio ego, è includente piuttosto che escludente. Il dono può essere usato per diversi scopi. La sua capacità di creare relazioni fa nascere la comunità, mentre lo scambio è un’interazione tra avversari e crea individui separati centrati su se stessi.
La nostra società ha basato la distribuzione sullo scambio ed è l’ideologia dello scambio che permea il nostro pensiero. Per esempio, noi ci consideriamo “capitale” umano, scegliamo il compagno al “mercato del matrimonio”, basiamo la giustizia sul far “pagare per i crimini”, giustifichiamo le guerre con la “rappresaglia” (fargliela pagare) e barcolliamo sull’orlo degli “scambi” nucleari”. In ogni caso le culture indigene e matriarcali, che si basano di più sul dono, hanno avuto e hanno una visione del mondo molto diversa che onora e sostiene la vita, fa nascere comunità più durature e promuove l’abbondanza per tutti.
Introduzione all’economia del dono
Gli americani, prima della colonizzazione, erano 300 milioni, molte più persone di quante ce ne fossero nell’intera Europa a quel tempo (Mann, C, 2005)2. Sebbene gli europei tendessero a interpretare le economie indigene alla luce della propria mentalità basata sullo scambio, le economie del dono erano ancora diffuse quando arrivarono i colonizzatori. La leadership delle donne era importante in queste cosiddette economie “pre”mercato. Per esempio la confederazione degli Irochesi, dove donne agricoltrici controllavano la produzione e la distribuzione dei prodotti agricoli, praticava il dono nei gruppi locali e partecipava ai circuiti di doni tra i gruppi anche a grandi distanze (Mann, B, 2000.) Sebbene il wampum, fatto con le conchiglie, fosse stato visto dagli europei come una forma di valuta, i ricercatori indigeni come Barbara Mann (1995) non lo considerano affatto una moneta, bensì una forma di scrittura fatta con le perline che si basava sulla relazione metaforica tra la Terra e il Cielo. Le economie del dono sono tipiche dei matriarcati. In Africa e in Asia, così come nelle Americhe, esistevano vari tipi di società pacifiche basate sulle donne che continuano a esistere anche oggi (Goettner-Abendroth 1980, 1991, 2000; Sanday 1981, 1998, 2002).
La mia ipotesi è che non solo c’erano e ci sono società che funzionano in base alla distribuzione diretta dei beni per soddisfare i bisogni, economie del dono non mercantili, ma che la logica che sottende questo tipo di economia è la logica umana fondamentale, che è stata surclassata e resa invisibile dalla logica dell’economia di mercato. Nonostante questa cancellazione, il dono continua a permeare la vita umana in molti modi, anche se non visto e nonostante sia stato degradato, ingiuriato, frainteso e nascosto. La visione del mondo delle popolazioni delle Americhe era davvero radicalmente diversa da quella degli europei, così tanto che i due gruppi facevano fatica a capirsi. Gli europei, per lo più, male interpretavano ciò che i nativi dicevano e facevano, la loro spiritualità, i loro usi, le loro intenzioni.3 La colonizzazione europea distrusse le civiltà delle Americhe perché i meccanismi del capitalismo patriarcale, che si erano sviluppati in Europa nel corso dei secoli precedenti, avevano bisogno di doni gratuiti che potessero essere trasformati in capitale. Noi stiamo vivendo le conseguenze di questa invasione basata sul genocidio, ma ciò non deve renderci ciechi di fronte al fatto che prima della colonizzazione esistevano modi pacifici e alternativi di organizzare l’economia e la vita sociale. Non sto suggerendo di imitare, adesso e tout-court, queste società. Però credo che se riuscissimo a identificare la logica del donare e del ricevere e vederla lì dove continua a esistere all’interno delle nostre stesse società, potremmo riapplicarla nel presente per liberare una visione del mondo che le corrisponda, e creare anche nuove/vecchie modalità di interazione pacifica.
Nello stesso momento in cui si inizia a vedere la luce di un’alternativa, la si deve usare per illuminare il problema. Vale a dire che dobbiamo vedere come il patriarcato e il capitalismo operino uniti per dominare e snaturare la distribuzione diretta dei beni verso i bisogni e come i doni si muovano verso un sistema di scambio artificiale, che non dona, e verso il possesso di pochi. Il punto di vista radicalmente diverso di cui abbiamo bisogno adesso non è quello dell’economia del dono così come è praticata solo dalle popolazioni indigene, ma un punto di vista sul mondo che deriva dall’economia del dono e la riconosce sia nelle società indigene che all’interno del capitalismo patriarcale, sebbene nascosta e fraintesa; si potrebbe perfino sostenere che si trova dentro ogni essere umano.
Nel 1484, fu pubblicata la Bolla Papale di Innocenzo VIII, che segnava l’inizio dell’Inquisizione, durante la quale per un periodo di 250 anni, furono uccise, secondo alcune stime, 9.000.000 di streghe, in maggior parte donne. Forse non è casuale che questi due genocidi, quello dei nativi americani e quello delle donne europee, si siano verificati simultaneamente (vedi Mies 1998 [1986]). Trovando la connessione tra la misoginia europea e l’oppressione americana ed europea delle popolazioni indigene, forse possiamo identificare il legame che può permetterci di creare una piattaforma comune cruciale per il cambiamento sociale.
Una delle ragioni per cui attualmente non esiste una piattaforma comune e collettiva è che gli approcci che sono alternativi allo status quo sembrano avere a che fare unicamente con l’interesse, le propensioni e la moralità individuali. Per le femministe, la critica all’essenzialismo impedisce la costruzione di una simile piattaforma sulla base di un’identità comune; tuttavia è curioso come, se l’identità non è la stessa, i problemi però lo siano e i legami tra individui e gruppi nascano sulla base di risposte e resistenze all’oppressione condivise.
Infatti, se osserviamo come l’identità si forma attraverso categorie in opposizione e come l’identità collettiva funziona nella “democrazia” in quanto competizione di gruppi tenuti insieme dall’interesse personale, possiamo vedere la formazione dei gruppi identitari come un ulteriore modo di dividere e conquistare il potere su una collettività più allargata. Però, forse, non è partendo dall’identità che possiamo provare a tirar fuori una prospettiva comune, ma dovremmo piuttosto disegnare una simile prospettiva su una pratica economica, il dono, che ovunque le donne (e gli uomini e le culture non patriarcali) mettono in campo, spesso senza rendersene conto. Questa pratica è positiva, ma all’apparenza rende coloro che la mettono in atto vulnerabili all’oppressione delle economie di mercato. Sarebbe importante non solo unirsi sporadicamente su certi temi per opporsi all’oppressione nelle sue varie manifestazioni, ma anche unirsi positivamente e a lungo termine sulla base dell’economia alternativa nascosta e della sua prospettiva. Nel capitalismo patriarcale la pratica dell’economia del dono è stata assegnata principalmente alle donne, sebbene sia stata specificatamente screditata sotto il nome di “funzione materna”, “nutrimento” e “lavoro di cura”. Questa assegnazione dovrebbe come minimo qualificare le donne come leader (non patriarcali) del movimento per l’economia del dono.
La recente presa in esame dei matriarcati vede che queste società hanno economie del dono e strutture di potere diverse da quelle del patriarcato (Allen 1986; Goettner-Abendroth 1991, 2002; Sanday 1981, 1998, 2002). Non si tratta di società dominate dalle donne, ma piuttosto di società incentrate sulle donne. Non sono immagini speculari del patriarcato, ma sono egualitarie e si basano sul consenso. In tutto il mondo continua a esistere un consistente numero di esempi di società indigene matriarcali.4
Con questa ridefinizione in mente, possiamo guardare alla maggior parte delle società esistenti come a una combinazione dei due modi , uno dei quali è la distorsione dell’altro ed è ad esso incorporato in relazione parassitaria. Il capitalismo patriarcale, con le sue direttive verso la competizione e il dominio, prende il suo sostentamento dai doni dei molti, che continuano a dare secondo i valori del dono e i modelli delle cosiddette società matriarcali “pre”capitaliste. L’articolo di Claudia von Werholf in questo libro racconta l’azione del patriarcato per negare del tutto gli aspetti matriarcali. Possiamo anche guardare alle nostre attuali società come alla coesistenza di due tipi di economia: un’economia del dono e un’economia dello scambio, o di mercato. Dalle due economie arrivano due sistemi di valori. L’economia dello scambio promuove la competizione, mentre l’economia del dono incoraggia la collaborazione. E in più, l’economia dello scambio compete con l’economia del dono con lo scopo di dominarla.
Il paradosso di una competizione tra un comportamento competitivo e uno non competitivo porta al suo interno la vittoria del comportamento competitivo, a meno che non diventi possibile spostarsi a un livello logico superiore e valutare tutti e due come principi generali per l’organizzazione della vita.5 A questo livello superiore è chiaro che la cooperazione, in quanto principio migliore, “vince” la gara. Il problema è capire abbastanza bene l’interrelazione tra i due comportamenti per muoversi collettivamente dall’uno all’altro. Per arrivare a questa comprensione abbiamo bisogno di vedere le logiche che sottostanno ai due comportamenti, le economie all’interno delle quali prendono corpo e i paradigmi e le visioni del mondo che queste economie fanno nascere.
La mia proposta a tal scopo parte non solo dall’idea che sono le strutture economiche che determinano le sovrastrutture delle idee e dei valori (Marx 1904 [1859]), ma anche sulla semplice constatazione che ciò che facciamo quotidianamente nella vita, giorno dopo giorno, influenza il nostro modo di pensare. L’economia di scambio, su cui è costruito il mercato del capitalismo patriarcale, funziona secondo la logica autoriflettente dello scambio: dare per ricevere un equivalente. Richiede un’equazione di valore, la quantificazione e la misurazione secondo uno standard. Il donare, soddisfacendo direttamente i bisogni degli altri, funziona secondo un movimento logico indipendente, ma è sempre stato considerato istintuale o illogico. L’azione (A dà X a B) porta già con sé delle implicazione che non sono dipendenti da un ritorno equivalente: (B dà Y a A). Il semplice gesto di donare è transitivo e dà valore a chi riceve per implicazione. Su scala diversa, dal piccolo al grande, dalla famiglia alla nazione, quando coesistono i valori dell’economia del dono e quelli dello scambio, l’economia del dono, coerente con il suo principio, dà all’economia di scambio, soddisfacendo i suoi bisogni, dandole valore e perciò colludendo con la sua stessa oppressione. Dall’altro lato, lo scambio – dare per ricevere un equivalente – cancella il dono. E’ orientato verso l’io, e da’ valore al ‘donatore’ per implicazione piuttosto che al ricevente. E’ competitivo,mette coloro che scambiano nella posizione di avversari (Hyde 1979) e crea relazioni tra i prodotti invece che tra le persone.
L’economia basata sullo scambio, che compete con il dono mentre coesiste con esso, lo sfrutta e lo discredita, spesso negandone l’esistenza stessa, cosicché lo scambio sembra essere all’origine dei doni che ha ricevuto o preso. Portando avanti questa cancellazione, la logica dello scambio, che è una logica identitaria autoriflettente e auto-assertiva, mette il dono in una non categoria con la quale (in quanto non catalogata) non deve competere. Così le due funzionano insieme come parassita e ospite. Nonostante questa collusione (e tutte le sue varianti) io credo che l’ospite sia molto più esteso del parassita e che il dono rimanga un’alternativa profondamente celata che permea il patriarcato capitalista a tutti i livelli.
La funzione materna, che di solito viene identificata con le donne, è un esempio di dono in cui i beni sono distribuiti secondo i bisogni in maniera dettagliata e continuativa. Possiamo considerare questa distribuzione l’esempio di una struttura economica che, in quanto tale, ha la capacità di far nascere valori di cura come sua sovrastruttura. Considerando la pratica materna istintiva o naturale, non solo il patriarcato capitalista ha relegato le donne nell’essenzialismo, ma ha bloccato il fatto di poter considerare la maternità come economica. Guardando al dono come a un’economia nascosta , un modo di distribuzione che sta ospitando l’economia basata sullo scambio, possiamo vedere il “carattere comune” delle donne come qualcosa di economico, visto che ha a che fare con una maniera di distribuire i beni secondo i bisogni, con una pratica e un processo che fanno parte di un ruolo socialmente determinato, non con un’essenza. In più, nelle società che si basano sull’economia del dono, gli uomini rimangono materni. Per essere un capo presso i Minangkabau, un uomo deve assomigliare a una buona madre (Sanday 2002). Cosi, le donne e gli uomini che non sono patriarcali hanno in comune non un’essenza, ma la pratica del modo di distribuzione del dono.
La coesistenza del dono e dello scambio è penalizzante per il dono, ma vantaggiosa per il sistema di mercato. Molti doni gratuiti vengono dati alla macchina capitalista, che rinomina i doni “profitti” e li incanala dai molti verso i pochi. E’ quel 40% che dovrebbe essere aggiunto al prodotto interno lordo degli Stati Uniti e anche altrove se il lavoro delle donne venisse conteggiato (Waring 1988) e che costituisce un dono che le donne fanno al sistema patriarcale capitalista, che non deve pagare per questi servizi. Il plusvalore, che secondo Marx è creato da quella parte di lavoro che non è coperta dal salario, può essere considerato un dono circuito o preso con la forza al lavoratore, ma gratuito per il capitalista.6
Entrambi i generi possono praticare tutte e due le economie. Gli uomini possono praticare la modalità del dono e le donne la modalità di distribuzione dello scambio. La funzione materna richiede che il dono sia dato direttamente ai bambini; in ogni modo e poiché la maternità è socialmente assegnata alle donne, molte donne praticano la modalità di distribuzione del dono per tutto il periodo in cui si prendono cura dei bambini e continuano a farlo quando essi bambini non lo sono più (e spesso la praticano anche se non hanno mai avuto bambini). Nel patriarcato, l’identità maschile di genere del bambino si costruisce di solito per opposizione alla madre che nutre, in modo che egli debba rigettare la modalità del dono da cui in realtà dipende. Così, il dono è solitamente identificato con le donne (che sono socializzate per essere madri), mentre l’indipendenza e l’affermazione di sé o l’aggressività sembra che siano comportamenti maschili. L’identità di genere maschile trova un’area della vita, il mercato, in cui il dono (l’atto del nutrire) non predomina; anzi è cancellato e negato. Il mercato risulta così un campo aperto per altri comportamenti “maschili” di competizione e gerarchia.
I valori della cura possono essere visti come la sovrastruttura della struttura economica nascosta dell’economia del dono. I valori degli interessi egoistici possono essere visti come una sovrastruttura che deriva dalla struttura economica dello scambio,7 specialmente se combinati con il patriarcato. Molta confusione ideologica nasce dal fatto che le strutture economiche dello scambio e del dono prese insieme sono anche la struttura della relazione parassitaria in cui un’economia dà all’altra, mentre l’altra prende attivamente dalla prima. Così anche le sovrastrutture riflettono questa relazione parassitaria e sono molto difficili da dipanare.
Le considerazioni prese in esame fino a qui suggeriscono quattro passaggi che dovremo prendere come fondamentali per iniziare a muoverci dal paradigma dello scambio verso un paradigma del dono:
Primo: Distinguere il dono dallo scambio.
Secondo: Vedere come il dono contenie alla base una logica transitiva, mentre lo scambio funziona secondo una logica identitaria autoriflettente di categorie che includono ed escludono.
Terzo: Riconoscere la pratica materna come pratica del dono.
Quarto: Considerare il dono (e quindi anche il materno) come economico, un modo di distribuzione di beni e servizi secondo i bisogni.
Concludendo, possiamo affermare che la logica del dono è una logica economica materna, una logica di distribuzione diretta di beni e servizi ai bisogni. Servendoci di questa descrizione possiamo identificare come questa logica economica materna viene espressa nelle società indigene, specialmente nei matriarcati , dove i beni e i servizi vengono distribuiti secondo i bisogni e la maternità e la cura hanno un alto valore sociale per tutti. Se consideriamo la funzione materna un momento particolarmente intenso di una più diffusa economia del dono dalla quale per ora il capitalismo patriarcale trae in modo parassitario la sua sussistenza, possiamo iniziare a cambiare le coordinate usuali secondo le quali pensiamo che la liberazione delle donne e di altri gruppi oppressi, sia raggiungibile attraverso una loro più equa partecipazione all’economia di mercato. In fatti, nelle pagine che seguono, spero di dimostrare che il mercato in sé è il problema, non la soluzione e che l’economia del dono e i suoi valori possono essere liberati dall’economia dello scambio, che è superflua e dannosa.
I. Allargare il concetto del materno
Questo approccio secondo il quale la funzione materna è vista come esempio di un modo di distribuzione alternativo, incrina il modello della maternità limitata alla sola relazione madre-bambino. Infatti le economie del dono, che incarnano molte varianti del donare al di là dello scambio, usano la maternità come principio sociale generale, sia per gli uomini che per le donne, nonché per le donne che non sono madri e per gli uomini che non sono padri. Rompere il modello del materno come collegato solamente alle donne e ai bambini piccoli apre anche la strada per considerare le economie del dono come economie di un materno esteso e generalizzato.
Sebbene nel XX secolo sia stato scritto molto sul dono, soprattutto da uomini, raramente è stato messo in relazione con il materno.8 Inoltre la paura dell’essenzialismo ha fatto sì che molte femministe buttassero via la madre con l’acqua sporca. Abbiamo bisogno invece di considerare la funzione materna/dono come una logica e un processo economici fondamentali, quindi non un’essenza, per tutti gli umani. Le economie del dono danno non solo alle madri, ma agli uomini (e a chiunque non abbia affatto bambini piccoli) la possibilità di continuare a distribuire beni secondo i bisogni sia a livello sociale che individuale(e senza attaccare neonati al seno).
D’altra parte, sia le donne che gli uomini possono praticare la logica dello scambio e partecipare con successo a un sistema sociale basato sul mercato. Il patriarcato capitalista non è un’esclusiva dei maschi e le donne vi prendono parte sia nel ruolo di oppressore che di oppresso. I gruppi e perfino gli emisferi assumono ruoli di parassita e ospite. Per esempio, il nord globalizzato prende i suoi doni dal sud globalizzato (i doni del sud vengono cooptati e reincanalati verso il nord). Avviene anche quando le persone al nord vengono a loro volta sfruttate sia come collettività che a livello individuale in quanto membri di gruppi da cui viene presa la ricchezza.
La conquista coloniale dei territori e delle culture indigeni può essere vista come motivata dalla competizione tra le economie di mercato e le economie del dono, e come l’estendersi del parassitismo capitalista sulle fonti dei doni. Inoltre le lotte per i territori tra le nazioni possono essere considerate il tentativo parassitario del capitalismo patriarcale di controllare le fonti dei doni di qualcun altro.
Perché la pratica del dono abbia successo è necessaria l’abbondanza. Lo scambio compete con il dono catturando l’abbondanza, incanalandola nelle mani di pochi o sciupandola, creando in questo modo scarsità per molti. Il dono, facile e piacevole nell’abbondanza, diventa difficile e richiede il sacrificio di sé nella scarsità. Le donne vengono considerate “masochiste” tutte le volte che si sacrificano per gli altri. Nei termini del paradigma del dono, possiamo asserire che stanno continuando a praticare la logica del dono nonostante un contesto di scarsità, che di solito è il risultato del mercato e del paradigma dello scambio.
Se si considera lo sfruttamento come il prelievo di doni gratuiti – di plusvalore, di risorse a buon mercato, di doni ambientali, terra, acqua saperi tradizionali e sementi – si connettono questi doni depredati con il lavoro delle casalinghe e delle madri, e di conseguenza si connette il movimento delle donne con quelli dei lavoratori e dei contadini, con quelli per la pace, per l’ambiente, con gli attivisti indigeni e con il movimento antiglobalizzazione.9
II. Non credere nel mercato
Dare e ricevere direttamente ha molti derivati ed elaborazioni, che sono state fraintese e divise e conquistate dall’ideologia patriarcale capitalista. Come abbiamo già detto, sono stati nascosti perchè non entrassero in competizione con lo scambio. Possiamo riportare alla luce questi derivati del dono riconoscendoli nelle molte e diverse aree dove continuano a esistere. Ad esempio, il dono come chiave interpretativa è stato tenuto fuori dalle discipline accademiche per secoli, perchè costituiva una minaccia al controllo accademico del sapere. Infatti, il paradigma del dono illumina molte domande che rimangono oscure per l’accademia. In più la logica e la modalità materna della distribuzione elaborata ed estesa presso le economie indigene di tutto il mondo, fa nascere valori e tradizioni spirituali che sono antitetici a quelli delle istituzioni del capitalismo patriarcale.10 Si può vedere come l’epistemologia indigena, descritta da Rauna Kuokkanen in questo libro, nasca dall’economia del dono. Come afferma Kuokkanen, i doni degli epistemi indigeni non sono stati accolti dall’accademia. Dopotutto non lo è stata nemmeno la prospettiva basata sul dono delle donne che spesso vivono nelle stesse famiglie degli accademici – e che si prendono cura di loro – o delle donne dell’accademia che portano avanti il doppio fardello della famiglia e dell’insegnamento. E’ importante vedere sia la cura che le prospettive come doni e riceverli celebrandoli piuttosto che con ignominia.
Il dono permea la vita sociale sia delle donne che degli uomini. Può essere considerato (Vaughan 1997) la base della comunicazione e della comunità, e lo si può trovare a tutti i livelli, da quello biologico a quello linguistico. Lo scambio stesso altro non è che una variante del dono, un dono obbligato, ritorto su se stesso e reso riflessivo. Come modo di distribuzione dominante, lo scambio di mercato necessita di una sistemazione quantitativa comune, che richiede un processo di misurazione secondo uno standard. I libri di testo occidentali di economia identificano l’economia con il mercato, ma noi estendiamo la categoria “economico” a includere sia la pratica materna che le economie del dono. Questo cambiamento nella categorizzazione ci aiuta a mettere in evidenza il dono come un comportamento pan-umano. Inoltre, può essere utile per chiarire la relazione tra lo scambio e il dono a livello famigliare, della colonizzazione delle economie indigene del dono da parte delle economie di mercato, e al “nuovo” livello chiamato globalizzazione, in cui i doni in natura e cultura, che prima erano gratuiti per tutti (come l’acqua, le specie di piante indigene e i saperi tradizionali) sono stati resi beni commerciali. Le due logiche spesso coesistono all’interno del singolo individuo. Se è chiaro che tutti noi seguiamo in qualche modo sia l’una che l’altra logica, possiamo anche ipotizzare che l’inconscio possa funzionare secondo la logica del dono, mentre il conscio agisca di più secondo quella dello scambio.
Piuttosto che ritenere il mercato come naturale o come conquista principale dell’umanità, abbiamo bisogno di considerarlo problematico e superfluo, un meccanismo che crea scarsità piuttosto che abbondanza, indirizzando i doni dai molti ai pochi. Il mercato offre ai doni un solo modo di rendersi visibili e cioè quello di trasformarsi in merci, cioè cessando di essere doni. Il mercato globalizzato è il capitalismo a uno stadio in cui, su vastissima scala, sta mettendo in atto questa trasformazione. Con un gioco di prestigio sta dimostrando che l’acqua, l’aria, il sapere, perfino i geni devono essere considerati merci “per natura”.
Dobbiamo fare un salto d’immaginazione che ci permetta di vedere il mercato dall’esterno o, meglio, dall’interno, ma assumendo una posizione di totale scetticismo. Con la sconfitta del comunismo patriarcale, sembrerebbe che l’unica economia possibile sia quella del capitalismo patriarcale. Tuttavia la prospettiva dell’economia del dono ci permette di considerare l’economia capitalista superflua, transitoria, dannosa. Le economiste femministe di solito lavorano per creare cambiamenti per le donne all’interno del mercato. La prospettiva dell’economia del dono vede proprio il mercato come un ostacolo, non qualcosa che può essere programmato per garantire una più piena partecipazione. Tuttavia è possibile che i cambiamenti nel mercato11 possano aiutare nella creazione di una transazione non violenta, che permetta a tutti noi di ricominciare su basi diverse.
Non è solo il mercato del capitalismo patriarcale il nostro problema, ma il mercato stesso. Questo perché le sue logiche contraddicono la logica pan-umana del dare e ricevere direttamente. Il mercato è un parassita perché assorbe doni in una struttura di relazioni in cui i doni sono bloccati e cancellati anche se continuano a essere dati. Poiché il dono è negato – non riconosciuto o neppure visto – il flusso dei doni verso il mercato, sotto forma di profitto, è considerato “meritato” o tutt’al più rubato, ma mai donato. L’ospite non si rende conto di nutrire il parassita. Storicamente il rapporto tra dono e scambio si può manifestare in diversi modi, ma il mercato stesso è un meccanismo per estrarre e accumulare profitto (doni) sia esso il plusvalore della prestazione salariata o del lavoro “casalinghizzato”(Mies 1986, Bennholdt-Thomson e Mies 1999), delle risorse naturali a basso costo del sud globale o l’eredità ecologica di tutti i bambini che verranno, siano donne o schiavi, popolazioni indigene o immigrati, a livello locale che globale. Adesso il mercato estrae anche doni di profitto per le multinazionali che vengono pagati con il denaro che proviene dai salari dei molti, i cui bisogni sono stati manipolati da invenzioni e pubblicità.
Facendo delle operazioni delle due logiche economiche – dono e scambio – e delle loro interazioni il punto di partenza della nostra ricerca, possiamo fornire un quadro molto diverso da quello che ci ha consegnato l’economia ufficiale. Possiamo vedere come la società in cui viviamo si basi su un’opposizione polare fondante, dove uno dei due poli non è riconosciuto come tale. L’invisibilità del dono è il risultato dell’egemonia dello scambio e, nel contempo, è uno strumento per mantenere il suo potere patriarcale. Cancellando o distraendo l’attenzione dal dono chiamandolo in un altro modo, rompendo i suoi legami con la comunità o considerando le sue manifestazioni “primitive”, infantili o istintive, il mercato e con lui il patriarcato, mantiene il controllo dei doni che tutti fanno per perpetuare la vita. Per capire e individuare gli immensi problemi che derivano dal capitalismo patriarcale, abbiamo bisogno di ridare visibilità al polo del dono. Ho lavorato a questo scopo per molti anni e la conferenza che ha fatto nascere questo libro, è un passo importante verso questa direzione.
III. Una logica che si autoclona?
Il patriarcato e il capitalismo sono cresciuti insieme, avvinghiati l’uno all’altro come due piante spinose con le radici nell’humus (n.d.t. terreno fertile) del dono. Il capitalismo fornisce il sistema economico, mentre il patriarcato le motivazioni verso un possesso fallico12 di denaro, di sapere e potere sempre più grande. La logica dello scambio è autovalidante e crea consenso intorno ai suoi valori, mentre il dono, che si muove nella sua ombra, sembra un flebile richiamo alla moralità. Lo scambio funziona come una profonda struttura magnetica che influenza tutta la nostra attività di pensiero. La logica dello scambio può essere vista nelle ricompense e nelle punizioni, nella colpa (prepararsi psicologicamente a restituire) e nel riscatto. Anche la giustizia, vista come il pagare per i crimini, è strutturata secondo il paradigma dello scambio, mentre riconoscere e soddisfare i bisogni che fanno nascere i crimini sarebbe un sistema basato sul dono. La logica della guerra è la logica dello scambio, attacco e uguale o maggiore contrattacco. Usare lo scambio come chiave fondamentale per interpretare il mondo intorno a noi assegna ruoli alle idee, le opinioni, l’amore, gli sguardi (fra i tanti altri) che potrebbero essere capiti meglio come passaggi di doni. D’altra parte molte delle attività inquadrate come doni sono in realtà scambi, come per esempio la carità guidata secondo i desideri del donatore e gli ‘aiuti’ degli Stati Uniti ad altri paesi.
E’ importante descrivere il capitalismo patriarcale in maniera negativa in relazione all’alternativa del dono. L’accademia capitalistica e patriarcale ignora il potere di interpretazione del dono e così facendo oscura il carattere parassitario di quella economia e ideologia di cui è parte integrante.
In aggiunta, il sessismo, il razzismo, il classismo, la xenofobia e l’omofobia sono nati dalla logica dello scambio che funziona secondo lo standard del fallo e dello standard fallico di avere uno standard, creando così delle categorie che si basano sulla logica dell’identità, dell’interesse personale e dell’esclusione dell’altro che dona. Questa esclusione è una fase del processo di dirottamento del flusso dei doni dell’“altro” verso lo standard. Così la categoria del mercato esclude la non-categoria del dono che riappare come profitto: la categoria “maschio” esclude il donare femminile che dà specialmente ai maschi; la categoria “razza bianca” esclude le altre razze, da cui ci si aspetta che assumano la posizione “femminile” del donare ai bianchi.13 Nonostante le immense tragedie che il capitalismo patriarcale e il mercato continuano a causare, essi hanno mantenuto il controllo del paradigma attraverso il quale la maggior parte della gente vede il mondo e continuano a definire la realtà squalificando nello stesso tempo l’economia del dono e le sue prospettive. Le risposte date all’interno del paradigma del mercato sul perchè tali tragedie continuino a succedere, non permettono quella comprensione necessaria a un cambiamento radicale.
Con l’egemonia dello scambio, il carattere transitivo e inclusivo del dono è andato perduto e i fenomeni che ne sono scaturiti sono rimasti misteriosi o al riguardo si sono date false spiegazioni che coincidono con l’ideologia dello scambio. Sostenere il paradigma fondato sul dono oltre a mostrare gli aspetti negativi dello scambio, del mercato e del capitalismo patriarcale, ci permette di capire che una visione sul mondo radicalmente diversa è possibile. E’ a sua volta un passo necessario per dimostrare non solo che, come dice lo slogan del Social Forum mondiale, un altro mondo è possibile, ma che un altro mondo esiste già qui e ora. Metterlo in risalto e dargli valore ci permette di definire la realtà alla luce del dono e ribaltarne la polarità verso lo scambio, di liberare senza violenza questo altro mondo, che è il mondo dell’economia del dono, nel presente.
IV. L’implicazione del valore
Per analizzare più da vicino il dono, potrebbe essere una buona idea vederlo dapprima al rallentatore. Fare, procurare e fornire qualcosa che soddisfi i bisogni degli altri fa parte di una dinamica che non soddisfa solo materialmente i bisogni, ma dà anche valore all’altro per implicazione. Chi riceve è importante quanto chi dà nella transazione del dono perché (lei o lui) deve essere capace di usare il dono per metterlo a frutto. Se il dono non viene usato, è sciupato, non è più un dono e questo entra in contraddizione con il lavoro di chi ha dato. Per chi riceve, dare riconoscimento al donatore non è necessario, ma è un aspetto diffuso del processo. Di per se stesso, questo riconoscimento non costituisce uno scambio, ma è semplicemente un responso ed è segno del compimento della transazione.
Il fatto che chi dona dà a chi riceve implica che chi riceve ha valore per colei/colui che non lascia il suo bisogno senza risposta, non la/lo ignora o non dà il bene a qualcun altro. Questa implicazione di valore può essere rilevato dal donatore, dal ricevente o da chiunque osservi e quindi appare non essere una valutazione soggettiva di nessuno, ma un fatto. Nello scambio per usare lo stesso esempio, si tratta dell’implicazione opposta. Chi da, lo fa per ricevere soddisfazione di un suo proprio bisogno, e perciò da valore più a se stesso che all’altro, implicando il suo proprio valore. Infatti nello scambio la soddisfazione di un bisogno dell’altro è solo lo strumento per soddisfare un proprio bisogno.
In molti hanno perfino messo in dubbio se sia possibile il dono unilaterale.14 Lo scambio si trova dappertutto e sembra più reale e razionale. Gli antropologi occidentali vedono la reciprocità alla luce dello scambio di mercato, piuttosto che alla luce di un fare a turno, la ripetizione di un modello, come succede quando i bambini imitano le madri che li curano. Dare, ricevere e dare indietro sembra molto diverso alla luce del mercato e nelle economie del dono delle società indigene e nei contesti matriarcali. Mentre la logica dello scambio del mercato, al pari di Dio, rende tutto a sua immagine e somiglianza, nelle cosiddette società indigene “pre”mercato il dono unilaterale continua a esercitare la propria influenza sulla reciprocità. Nel mercato dello scambio il dono unilaterale viene cancellato, e quindi ogni atto di reciprocità viene letto come uno scambio.
Anche se non ci fossero esempi di un donare puro e completamente unilaterale (Caille 1998),15 – e io credo che tali esempi costituiscano del tutto la normalità – la logica del dono unilaterale continuerebbe nonostante tutto a portare con sé l’implicazione del valore di chi riceve e questo anche in pratiche in cui il dono fosse mescolato allo scambio. Quando la gente insiste sulla veridicità del detto “non esiste un pasto gratuito”, io ribatto che come minimo c’è una parte del pasto che è davvero gratuita in quanto le donne hanno cucinato senza farsi pagare per secoli. Nello stesso tempo, ricevere un dono unilaterale stimola un probabile apprezzamento in chi lo riceve e perciò il dono può far nascere un riconoscimento reciproco di valore comune che sarà alla base di un legame positivo.16 In questa interazione è il dono stesso che viene investito di valore e funzione positivi come veicolo del valore dell’altro e mediatore nella relazione mutuale. Il dono non assimilato allo scambio produce una reciprocità in cui la relazione mutuale non viene annullata da un donare in cambio, ma viene mantenuta e accresciuta. Qualche volta viene fatto un dono aggiuntivo, non come pagamento degli “interessi” come succede per i debiti nella modalità dello scambio, ma in qualità di altro dono unilaterale per dimostrare che il dono di ritorno non significa una cancellazione, ma un’“imitazione” nel fare a turno o un supplemento al primo, fatto aggiungendo ancora di più.
Con il dono, il valore che viene dato a chi riceve potrebbe apparire intrinseco al ricevente – una madre dà al suo bambino, perchè il bambino ha valore – ma con il suo donare cura e valore, mantiene il valore del bambino permettendole/gli di sopravvivere. Il dare trasferisce valore a chi riceve insieme al dono, e il valore si trasmette, insieme al dono, ad altri ancora. C’è infatti una specie di sillogismo del dono – se A dà X a B e B da X a C, allora A dà X a C. La circolazione dei doni permette questa transitività per cui la fonte originale partecipa al processo del dare fino all’ultimo che riceve, e anche l’implicazione di valore passa da persona a persona.
V. Il valore di scambio
Secondo Marx, una merce è costituita da un valore d’uso e un valore di scambio. Come abbiamo appena detto, nel mercato il valore del dono viene cancellato. Lo scambio, e soprattutto il processo di scambio per denaro nel mercato, altera il carattere del valore in quanto il valore del dono non viene più dato agli altri da sé per implicazione, ma è designato come valore di scambio delle merci espresso in denaro. Il processo binario dello scambio, in cui avviene un’interazione simmetrica tra due persone orientate all’ego che scambiano, distoglie anche l’attenzione dalla fonte originale dei beni. (Così è facile negare l’importanza della pratica materna o del lavoro delle donne in casa, per fare un esempio, o a un altro livello è facile per le multinazionali nascondere le condizioni di sfruttamento in cui i loro costosi articoli vengono prodotti.)17 Ognuno degli interagenti allo scambio implica il suo proprio (di lei o di lui) valore usando la soddisfazione del bisogno dell’altro come mezzo, e nello stesso tempo, usando il denaro, misura il valore della merce in relazione a quello di tutte le altre merci sul mercato, in maniera che lo scambio sia “equo”. Il valore dell’altro non viene più affermato dal fatto che si sta soddisfacendo un suo (di lei o di lui) bisogno; al massimo il valore dell’identità dei due che scambiano viene attestato dall’identico valore dei loro prodotti. In altre parole, l’identità di valore dei prodotti (o dei prodotti e il denaro) implica l’identità di coloro che scambiano, in quanto appartenenti entrambi a una categoria che ha una “proprietà” comune di una certa quantità di valore di scambio. In ogni modo, questo valore dipende dalla logica d’identità, da ciò che hanno e quindi dalla categoria alla quale appartengono, non sull’implicazione di un valore trasmesso da o a loro come esseri umani che danno e ricevono beni che soddisfano i loro bisogni.
Il valore dell’altro è trasmesso per implicazione nel dono; in quanto valore, crea e dipende da una dinamica di transitivita’ tra chi dà e chi riceve. Il valore dell’altro è cancellato nella transazione di scambio, e tutti e due gli attori sono considerati uguali nella loro tendenza egocentrica, mentre anche i loro beni sono giudicati uguali in rapporto al denaro. Così, il valore di scambio è una specie di trasformazione del valore del dono.18
Sia la transazione di scambio che quella del dono conferiscono valore tramite la trasmissione di beni e dipendono da una dinamica tra chi dà e chi riceve, per quanto funzionino in maniera diversa e con risultati diversi per le relazioni e la psicologia umane. Laddove il dono unilaterale crea orientamento verso l’altro, legame, fiducia e mutualità, lo scambio crea un orientamento verso se stessi e posizioni antagoniste, sospetto e ostilità o distacco, poiché chiunque scambia cerca di nascosto di fare in modo che l’altro dia di più in quello che si suppone essere uno scambio equo.
Nella truffa, ad esempio, il dono riappare in senso negativo e dà valore all’ego di chi ha estorto con l’inganno doni gratuiti dall’altro – per esempio vendendole/gli merce in sovrapprezzo.19 Questo confronto crea due livelli, uno scambio che si fa passare per equo e il progetto privato di quelli che scambiano per ottenere il potere, prendere con la forza o estorcere dagli altri dei doni. Come se non bastasse, il fatto che coloro che scambiano appartengano a una stessa categoria, genera l’indifferenza dell’uno verso l’altro, poiché chiunque può essere sostituito in questo ruolo.
Nel dono, invece, gli attori danno e ricevono in base a una modalità personale e non solo in accordo con le regole di un livello di produzione capitalista comunemente accettato, ma rispondendo alle capacità e ai bisogni individuali. E’ in questo modo che donare e ricevere è creativo e dà conoscenza, mentre lo scambio può diventare ripetitivo e standardizzato. L’attenzione di chi dà secondo i bisogni crea sensibilità verso l’altro. Le risposte emozionali sono necessarie per monitorare i bisogni. Lo scambio, che strumentalizza i bisogni, promuove la desensibilizzazione e il distacco emotivo.
In un contesto di scarsità, di gerarchia, di competizione e di scambio, è facile che il dono diventi manipolativo. Questa circostanza pone chi riceve nella condizione di essere cauto e sulla difensiva e, nel paragone, fa sembrare lo scambio un’interazione più chiara. Capita a volte che chi riceve abbia più bisogno di rispetto e di indipendenza che di quello che materialmente gli viene regalato e chi dona deve capirlo e soddisfare questi bisogni smettendo di dare. Il marketing è manipolativo, perché utilizza la ricerca sui bisogni e la stimolazione dei desideri per determinare quali prodotti la gente comprera’. Probabilmente senza nemmeno rendersene conto, i pubblicitari ci stanno vendendo lo scambio stesso come una cosa che ha più valore del dono.
Nonostante lo scambio sia una variazione sul tema del dono, segue dei sentieri logici completamente diversi, che rende le due cose “capre e cavoli” l’uno con l’altro. Inoltre, lo scambio è diventato il principale modello logico di base che vediamo, in modo che tutto il pensiero umano sembra dipendere da categorie, identità e valutazioni e non sulla trasmissione di valori. L’equazione dello scambio informa anche la nostra idea di coscienza autoriflettente, che ci fa credere di far parte di una categoria privilegiata, quella degli “umani”, mentre quando siamo orientati verso gli altri, diventiamo opachi a noi stessi. Contemporaneamente i bisogni vengono ignorati favorendo “la domanda effettiva”, cioè i bisogni importanti per il mercato, per i quali ci sono già i soldi nelle tasche degli acquirenti. La soddisfazione di questi bisogni, nel momento stesso in cui vengono identificati, può già essere catalogata come pertinente allo scambio. Quelli non pertinenti allo scambio non sono catalogati come domanda effettiva e perciò ignorati. Non “esistono” per il mercato eccetto che per una loro ipotetica potenzialità di influenzare il rialzo o l’abbassamento dei prezzi.
Senza uno spostamento dell’attenzione su più livelli, verso i bisogni in quanto tali, non si può vedere la proprietà transitiva che passa attraverso la soddisfazione gratuita dei bisogni. Né si può riconoscere la grande varietà dei doni e le implicazioni di valore che essi conferiscono. Donare è la chiave interpretativa che schiude i misteri della proprietà transitiva e interattiva, del valore e della comunità. Ad esempio, l’inclusione dell’altra/o avviene con il donare all’altra/o, rispondendo ai suoi bisogni, non in primo luogo attraverso la categorizzazione – e non è per l’essere catalogati a priori come simili o diversi gli uni dagli altri che facciamo comunità – ma dando e ricevendo doni ad ogni livello.20
L’interagire umano crea molti bisogni nuovi e questo avviene anche nel mercato. I nuovi bisogni nascono a seconda dell’organizzazione sociale e quindi nascono anche nuove tipologie di doni. Quello del dono è un principio così fertile e creativo che non potrà mai essere completamente dominato dallo scambio e si ripresenta sotto aspetti diversi. In una società basata sul mercato, il bisogno di denaro fornisce la possibilità di donare soldi. La necessità di lavoro ci permette di pensare al padrone come un datore di lavoro. I bisogni creati dallo sfruttamento del sud del mondo, costringono i migranti a mandare a casa miliardi di dollari come versamenti-dono. Ognuno di questi esempi mostra il dono inserito in un contesto di mercato e ce ne sarebbero molti altri. Naturalmente non ci sarebbe più bisogno di questi doni, e quindi non sarebbero nemmeno doni, se non ci fosse il mercato. Moltissimi altri tipi di dono esistono prima, dietro e intorno al mercato. Il mercato, infatti, galleggia in un mare di doni.
VI. La pratica materna e la mascolazione
La comunicazione, che è una capacità umana importante, inizia, per ogni vita, tra la madre (o qualsiasi altro elargitore di cure primarie) e il bambino, ed è profondamente connessa con il dono. Infatti dare beni ai bisogni senza che vi sia scambio può essere considerata la comunicazione materiale nel senso che i corpi (quindi anche le menti) di coloro che ricevono vengono creati attraverso questa interazione e diventano i reali membri della comunità. Coloro che danno, che poi anche ricevono, cambiano e si specificano col loro donare. Coloro che ricevono sono nutriti e introdotti alla vita sociale in modi specifici, e diventano a loro volta dei donatori. La vulnerabilità e la dipendenza dei bambini umani richiede che gli altri diano in maniera unilaterale in modo da assicurare la loro sopravvivenza. La pratica materna, solitamente svolta dalle donne, è quindi il primo esempio di un comportamento donante, facilmente percepibile da tutti, ed è anche una necessaria costante sociale (seppur con variazioni sempre collocate storicamente e/o culturalmente).
Il dono funziona nella maternità per implicare il valore del bambino, ma funziona anche nel modo opposto e cioè spinge la madre a dare al bambino perché lei (o lui) stessa vale. Infatti, si potrebbe pensare che la bambina/o abbia un valore intrinseco, anche se in realtà questa implicazione le/gli arriva dai doni della madre. Contemporaneamente le madri, fonti di questa potenziale implicazione di valore – insieme al resto della società – non danno valore alla funzione materna e al donare delle donne. Danno valore e nutrimento ai maschi. La logica dell’identità in relazione al genere viene così a escludere le ragazze dalla categoria a cui la madre potrebbe dare valore, per la proprietà transitiva, soddisfacendone bisogni.21 Dato che le madri appartengono alla stessa categoria delle figlie, svalutano anche se stesse e quel donare che è la fonte stessa dell’implicazione del valore.
Nel patriarcato sembra che per raggiungere un’identità maschile, i bambini maschi non debbano comportarsi come le madri. Finché sono piccoli, l’appagamento gratuito dei loro bisogni da parte delle madri costituisce la gran parte della loro esistenza. Poi però l’imperativo di differenziarsi dalle madri allontana i bambini maschi da un comportamento che è importantissimo e che porta in sé la logica del dono. Si chiede loro di non essere materni, di non donare, per poter raggiungere l’identità di genere imposta dal sociale, dal linguaggio, dal padre, dagli altri ragazzi e dalla stessa madre. “Maschio” diventa una categoria privilegiata che ha il padre come “prototipo”22 o modello, rispetto a “femmina”, che viene identificata con la madre che dona. Il padre, passato attraverso lo stesso processo da piccolo, per il bambino sostituisce la madre in qualità di prototipo di ciò che è umano. Quando il bambino cresce, diventare lui il prototipo e assumere la posizione del padre, diventa per lui il programma dell’identità maschile. Chiamo questo processo “mascolazione” e penso che sia la radice psicologica del patriarcato.23
Nelle culture indigene, soprattutto nei matriarcati, dove si pratica l’economia del dono, il processo di diventare maschio può essere molto diverso da quello delle culture patriarcali. Non c’è una rottura netta tra il donare che i bambini sperimentano nell’infanzia e il dono su larga scala che viene messo in atto nella società. La logica transitiva del dono non è vista limitata alla relazione madre/figlio o spinta nell’inconscio, ma viene esplicitata coscientemente nelle relazioni sociali della comunità. Perciò il ragazzo non è costretto a smettere di donare per formarsi un’identità maschile.
La circolazione del dono, come il potlatch (Mauss 1923)24 o il Kula delle isole Trobriand (Malinowsky 1922), può essere vista come una specie di bricolage sociale, un modo di pensare nella logica del dono collettivo e cerimoniale ed esplorarne le implicazioni. I diversi tipi di doni e di elargizioni creano diversi tipi di legami tra chi dà e chi riceve, e ci si dà un valore che passa da persona a persona o da un gruppo all’altro, attraverso la circolazione dei doni. Si vive il dare e il ricevere dalla natura come una comunicazione sacra.
Quando non è presente il mercato basato sullo scambio, ma tutta la società mette in atto il dare e il ricevere direttamente, c’è continuità sia per i maschi che per le femmine con la cura che si dà e che si riceve, che imparano dalla loro madre a partire dall’infanzia. Il modello economico della funzione materna – il modo di distribuzione del dono (e la distribuzione evoca anche un modo di produzione (vedi l’“Introduzione” di Marx ai “Grundrisse 1973 [1859])) è funzionale a entrambi i generi. I tipi di comportamento e di qualità (cooperazione, sensibilità e rispetto) consoni all’economia del dono hanno valore di sopravvivenza all’interno di quelle economie.
In modo inverso, la combinazione patriarcato e mercato crea un mondo alterato e alienato, antitetico al materno/donante, che anzi squalifica e sfrutta, identificandolo con il comportamento tipico di chi non vale e non appartiene ad alcuna categoria.(Questa non categoria è identificata soprattutto con le donne, che donano alla categoria principale e le danno valore). I tipi di comportamento e le qualità (competizione, dominio e avidità), fomentate dal capitalismo patriarcale, hanno valore di sopravvivenza nelle economie di mercato. La tradizionale condivisione del cibo e l’ospitalità che sopravvivono all’interno delle economie di mercato, mantengono alcune qualità del dono e forniscono significato e senso della comunità, nonostante un contesto generale di scambio.
Il dono puo’essere arruolato al servizio delle gerarchie, del mercato e del patriarcato, e perfino il potere stesso può essere visto come l’abilità di gestire i doni a proprio vantaggio. Per esempio, controllare il flusso dei doni funziona in modi simili sia che avvenga in una famiglia, comunità, rapporto di lavoro, azione di governo, in un’istituzione religiosa o accademica, o nell’era della globalizzazione, tra il sud e il nord. Lo stesso meccanismo del mercato è una pompa che estrae doni da un’area per dirigerli verso un’altra. Funziona perché sorretta dalle motivazioni patriarcali, che promuovono modelli mascolati di lotta per ottenere di più e diventare così il prototipo, quello che sta in cima. (Come i pistoni, qualcuno va su perché gli altri vanno giù). Storicamente, le possibilità di raggiungere questa posizione cambiano, ma di solito implicano violenza, che all’interno del capitalismo patriarcale diventa economico-sistemica. Nel corso di gran parte della storia le guerre, la violenza culturale contro le diverse razze e classi (anche a livello internazionale) e la violenza contro le donne e i bambini a livello di rapporti fra le persone, fanno salire il flusso dei doni verso l’alto e impongono i meccanismi del mercato.
L’interazione dello scambio e l’uso del denaro come prototipo del valore di scambio, sono ritenuti gli standard del comportamento umano “corretto”. Anche se lo scambio di equivalenti sembra essere il principio più alto della nostra società, non solo funge da “copertura” per l’estorsione dei doni, ma agisce da modello per interazioni negative come la vendetta e la retribuzione, che sono usate come giustificazione della violenza e della guerra. La guerra replica il mercato su un altro piano. Sembra che lo scopo della guerra sia non solo di creare la maggior parte di “scambi” letali, in modo che più gente di altre nazioni debba “dare” la vita per il suo paese, ma che la ricompensa per la vittoria sia di catturare più risorse possibili, incluso lo standard monetario e di diventare effetivamente lo standard, il paese prototipo, il Padre delle nazioni.
Altri metodi più “civili” per controllare il flusso dei dono sono l’arte e l’architettura, come si vede per esempio a Roma o in Egitto, dove pare sia la grandezza a dimostrare la superiorità e gli obelischi rappresentano il fallo che merita tributi e tasse. Nelle moderne metropoli, i grattacieli svolgono la stessa funzione. Nel capitalismo, le ricompense per il successo comprendono la possibilità di diventare il prototipo umano mascolato, per aver accumulato ricchezze stratosferiche o per essere diventati delle star di vari altri tipi. L’ipervisibilità dei pochi si oppone all’invisibilità dei molti. La posizione al top è data dai doni dei molti, siano essi doni di natura economica o semplicemente doni dell’ammirazione del gruppo (che spesso vengono tradotti in denaro).
La storia umana in occidente non è ancora iniziata, perché dagli albori del patriarcato fino a oggi, si è trattato solo della storia di una costruzione artificiale e parassitaria del genere maschile, che lascia fuori tutto il resto dell’umanità. E’ la storia dei meccanismi patriarcali (e/o del mercato) che lottano l’uno contro l’altro per il predominio. Si può forse dire che è la storia di una malattia che infetta e annienta tutte le culture sane che incontra. Una storia dell’occidente basata sull’economia del dono dovrà ricominciare tutto da capo, cercando di connettere le culture del dono che hanno conservato la memoria di ciò che è stato ed essere l’esempio di come sarà. Le donne allevate dalle donne non passano attraverso la mascolazione e, anche quando riescono ad avere successo nel sistema capitalista patriarcale, la loro capacità di donare rimane più o meno intatta perché non è stata stroncata sul nascere come succede nella mascolazione. Le donne dovranno perciò essere le leader non patriarcali del movimento per smantellare il capitalismo patriarcale e sostituirlo con l’economia del dono.
Potremmo essere costrette a iniziare la storia sulla base del donare per un traumatico crollo del mercato, per un disastro ambientale o una guerra nucleare. Se iniziamo ora, comunque, possiamo provare a tirar fuori la società da questa pericolosa situazione, con metodo e con attenzione come chi scende da un albero – invece di cadere. Possiamo evitare la devastazione incombente, soddisfare i bisogni del futuro, facendo dei passi indietro dalla situazione attuale. Non è sufficiente consumare meno al nord: dobbiamo cambiare i meccanismi del mercato che approfittano di questo consumo e dei doni che lo alimentano.
VII. Il controllo dei doni
Recidendo le connessioni tra le tante situazioni della logica del dono, il patriarcato capitalista ha offuscato il quadro di quello che si potrebbe fare in alternativa ad esso, rendendo il paradigma del dono irraggiungibile come scelta ed elaborazione consapevole di un progetto sociale. Ci è riuscito anche catalogando il dono come istintivo, e per questo opposto alla razionalità dello scambio, o come una cosa sovraumana, pertinente ai santi e alle madonne, negando così la sua presenza nel resto della vita. La logica del dono appare così fuori dall’ordinario, non per la gente comune, una cosa che solo la religione può fare sua. L’autorità del donare è passata nelle mani dei preti e dei patriarchi, che legiferano e giudicano se la gente – le donne (vere fonti dei doni) – agiscono in maniera altruistica (Questo altruismo include il dono dell’obbedienza e di devolvere denaro alle istituzioni religiose.)
Una teoria che veda il dono come logica economica e non mero dettame morale del sacrificio o comportamento irreale, può essere utile per proteggere questa logica e i suoi portatori dalla cooptazione e dalla colonizzazione religiosa e delle ideologie di destra. Purtroppo, mancando questa teorizzazione, la cooptazione è già stata fatta su larga scala e le versioni del donare raccontate dalle religioni e dai governi patriarcali si sono già imposte in maniera diffusa. Sono riusciti cosi a screditare il paradigma del dono anche agli occhi di molte femministe che giustamente temono il loro dominio, l’ipocrisia delle loro ragioni e il potere dei loro apparati gerarchici. A causa di questa valutazione negativa, del tutto giutificabile, le femministe rischiano di cedere l’intero campo dell’orientamento verso l’altro da sé alla religione e alle ideologie di destra, invece che reclamarlo come appartenente alle donne – e a tutti gli esseri umani – sulla base dell’economia del dono e dei valori del lavoro di cura.
Nel presente testo, Paola Melchiori afferma che dobbiamo far distinzione tra l’economia del dono e il ruolo di accudimento che l’allora cardinal Ratzinger, oggi papa della cattolica romana chiesa, attribuisce alle donne. Sottolineo che l’autorità sul dono non dovrebbe essere affatto lasciata alle religioni patriarcali, ma dovrebbe essere reclamata dalle donne. Se le femministe rifiutano l’orientamento verso gli altri, cadono nella trappola di rimandarne le pratiche e i valori a coloro che hanno rinunciato all’economia del dono come parte della costruzione della loro identità di genere. Le donne, che nel loro ruolo sociale sperimentano personalmente il donare in quanto madri, dovrebbero essere le autorità preposte a un così importante aspetto della vita umana. Non sarà smettendo di rivendicare l’ orientamento verso l’altro che le donne metteranno fine allo sfruttamento e libereranno se stesse e gli altri dall’autorità e dal controllo delle religioni patriarcali o dei governi di destra. Anzi, rifiutando l’orientamento verso l’altro ricadremmo in quell’opposto del donare che il patriarcato ha inventato, e cioè il mercato e la sua ideologia di interesse egoistico, che è la ratio del patriarcato capitalista. Sia che si tratti dell’interesse egoistico di un gruppo, di un genere, di un’etnia, di una classe o di un orientamento sessuale e anche se nella pratica promuove solidarietà – quindi pratica il dono – all’interno del gruppo, non sarà in grado di sollevare la logica del dono fino a quel meta-livello in cui potrebbe essere usato da guida per dar vita a un’alternativa radicale e duratura.
Non è l’interesse personale che ha bisogno di essere liberato, ma l’interesse per l’altro e il processo a esso collegato – il dono. Siamo bloccati nella formula: A dà X a B e non riusciamo ad aprire nessuna parentesi. Secondo la trasmissione di valore del dono, ci sembra che B abbia un valore che è probabilmente superiore a quello di A. Ma se mettiamo tra parentesi tutta la transazione stessa (A dà X a B), potremo prestare attenzione e dare valore all’intero processo senza necessariamente dire che A ha più valore perché dà qualcosa o ne ha B perché gli viene dato qualcosa, ma che è il processo in sé (A dà X a B) ad avere maggior valore del processo di scambio, che è (A dà X a B se e solo se B dà Y a A).
L’orientamento egoistico del patriarcato e del capitalismo è stato esteso alle donne facendole partecipare al mercato. Ha avuto un effetto positivo per molte, soprattutto al nord, che si sono in qualche modo affrancate dalla povertà, dalla schiavitù domestica e dalla dipendenza psicologica. Ciò nonostante, non è reclamando l’interesse personale che le donne potranno creare un profondo e diffuso cambiamento sociale, ma riappropriandosi del controllo sull’interesse per l’altro.25 Il patriarcato si appropria dei valori del materno, erroneamente interpretati e praticati da uomini mascolati, e rimette in circolazione questi valori sotto le spoglie di moralità per mitigare la crudeltà del suo agire, per evitare la possibilità di una rivoluzione e per saldare in qualche modo i costi che la crudeltà si porta dietro. Guardare al dono come a una struttura economica che ha una sovrastruttura ideologica può permetterci di vedere i valori del materno non come moralità, ma come le tracce di un’economia nascosta, di un mondo migliore che non solo è possibile, ma che esiste già.
L’interesse personale basato sullo scambio quando è generalizzato crea un insieme di individui isolati. Se viene generalizzato l’interesse per l’altro basato sul dono si crea comunità. Generalizzare l’orientamento verso l’altro non solo come condotta personale, ma per cambiare la società, e dandone il controllo alle donne (dare la terra a chi la coltiva!) è il passo necessario per una visione del mondo radicalmente diversa e quindi per rendere un altro mondo possibile.
VIII. I doni e la comunicazione
Chi parla di economia morale sta entrando nell’ordine di idee dell’economia del dono senza però discernere il filo del dono che collega tante diverse discipline e attività. Credo che la logica del dono sia anche la logica della comunicazione e di conseguenza del nostro divenire umani. Riconoscere questa potenzialità contribuisce inoltre a rompere lo schema che il materno implichi solamente la relazione madre/figlio, per estenderlo a una capacità pan-umana in un’area considerata dai linguisti autonoma e basata sulla biologia.
Ho lavorato personalmente parecchi anni per dimostrare che il linguaggio può essere considerato un’economia del dono verbale e virtuale, la sua trasposizione sul piano acustico/vocale (o visivo), dove le parole, le frasi e i testi funzionano come doni dati da chi parla (o scrive) a chi ascolta (o legge), soddisfacendone i bisogni comunicativi. La sintassi non è solo l’applicazione di regole, ma un sistema di dare-e-ricevere doni tra le parole, trasferito dal piano interpersonale a quello interverbale. Le parole combinano o “stanno attaccate insieme” perché si sono date e ricevute l’una con l’altra. Il termine “rosso”, per fare un esempio, modifica la parola “palla” perché a lei è stata data, ed è stata da lei ricevuta. Le due parole prese insieme soddisfano il bisogno che ha colei/colui che ascolta, di una dinamica (di dono) che sia in grado di creare una relazione umana rispetto a qualcosa (la palla rossa), sul piano non linguistico. Non è solo la creatività della nostra capacità di linguaggio a definire la nostra umanità, ma la facoltà di dare doni linguistici che gli altri possono ricevere, e di ricevere doni linguistici che altri danno, usandoli per soddisfare, ma anche per stimolare e sollecitare bisogni comunicativi. In altre parole, il linguaggio è una sorta di pratica di cura sia individuale che collettiva, su livello verbale. L’economia del dono verbale soddisfa bisogni comunicativi usando parole-doni date dalla collettività e dagli individui, mette in circolazione doni che non si perdono nell’essere donati, ma che anzi ne vengono semmai potenziati e ci rende umani nello stesso momento in cui i processi di scambio ci rendono inumani. Questa concezione del linguaggio lo ricolloca nel campo delle donne, dal quale sembrava essere stato rimosso dal biologismo, il fallocentrismo e l’ordine simbolico del padre.26 Il significato deriva dall’affermazione del donare e dal riconoscimento dei doni su livelli differenti: il livello verbale/sintattico, quello materiale/nutritivo, quello comunitario, e anche a livello percettivo dove riceviamo/percepiamo i doni che ci arrivano dalla nostra esperienza e dall’ambiente. Proiettando la madre nella natura, con l’idea che la natura soddisfi attivamente i nostri bisogni (anche se in effetti ci siamo adattati con l’evoluzione e la cultura a usare i doni percettivi e materiali che ci vengono dati), possiamo persistere in un atteggiamento di gratitudine, che ci permette di rispondere e perciò di conoscere l’ambiente che ci circonda come sacro e trattarlo con rispetto. Questa teoria della conoscenza del paradigma del dono è conforme agli epistemi degli indigeni che Rauna Kuokkanen descrive più avanti in un suo articolo di questo libro.
IX. Il dono di un cambiamento sociale
Il dono continua a esistere anche adesso, all’interno del capitalismo patriarcale “avanzato” sebbene non abbia quel nome. Persiste qui negli Stati Uniti e a livello internazionale, nelle famiglie e nei gruppi comunitari, nei gruppi con uno scopo comune, femministi, ambientalisti, pacifisti, per la solidarietà etnica e tanti altri gruppi di attivisti, nell’Anonima Alcolisti, nei gruppi religiosi e spirituali, gruppi per le terapie psicologiche, gruppi sociali e artistici di vario tipo, nel movimento per il free-software e l’ informazione gratuita, in iniziative come quella di Wikipedia, nei movimenti contro la privatizzazione e i brevetti, nei circoli del dono in rete, nell’economia solidale, nella filantropia progressista, nei versamenti a casa degli immigrati e nelle comunità alternative. Ogni gruppo si scontra con il controllo del donare e con il contesto di scambio e di scarsità che circonda i suoi tentativi di dare. La loro battaglia è ancor più difficile perché la maggior parte opera senza nessun appiglio cosciente al dono su un meta-livello, cosa che permetterebbe loro di vedere la situazione in termini di relazione tra i due paradigmi. Inquadrano quello che stanno facendo nella morale, nella cooperazione, nei valori della famiglia, nell’indipendenza o nella co-dipendenza, come un buon vivere o una grazia o un impegno politico – perfino come una rivoluzione. Vedere le difficoltà che sorgono come il risultato del conflitto tra i paradigmi, renderebbe più facile capire il quadro d’insieme e fornirebbe nel contempo la possibilità di intervenire in diversi modi, dando vita a una leadership femminista e a strategie alternative che non consegnerebbero il dono all’autorità religiosa né ai politicanti di destra o di sinistra del patriarcato.27
Al momento sono in atto molti tentativi di gente che cerca di vivere al di là del capitalismo, perfino nel nord della globalizzazione. C’è per esempio il movimento per le monete alternative come l’Interest-and-Inflation-Free Money, il LETS (Local Exchange Trading Systems) e il mutuo credito delle banche del tempo, che penso possano essere un passo avanti verso un’economia del dono senza denaro, sebbene tutte queste monete in un modo o nell’altro siano ancora basate principalmente sullo scambio. (vedi anche Radon 2003). Alcune, come il dollaro di Toronto, dove un dollaro locale è scambiato con il dollaro canadese, ma ne viene ceduta una percentuale per progetti sociali, combinano il donare al cambiamento sociale con una moneta locale alternativa. Vorrei ricordare che iniziative come questa sono esse stesse doni sociali in quanto tentativi di rispondere al bisogno di cambiamento e come tali devono essere intese. Con qualcuna si arriva molto vicino a vedere il dono a un meta-livello, ma di solito non si comprende del tutto la negatività insita nella logica dello scambio. Senza la critica allo scambio, alcune iniziative, come quella del microcredito, ad esempio, cercano di dare il dono del cambiamento sociale allargando la partecipazione al mercato. Anche se in questo tipo di iniziative è sicuramente messo all’opera il desiderio di soddisfare i bisogni, non ci si deve sorprendere se l’estensione ai poveri della partecipazione al mercato non sia una reale soluzione a lungo termine per il cambiamento sociale e che porti con sé anche molte conseguenze negative. Lo stesso si può dire del baratto debito-contro-natura, dove i paesi del sud cedono aree ecologicamente a rischio in cambio della riduzione del debito. Queste iniziative sono state esposte con spirito critico da Ana Isla nel 2004 e ripetute nel suo saggio all’interno del presente volume.
Il movimento per la tecnologia open source, che fornisce software sviluppati collettivamente (vedi il saggio di Andrea Alvaro in questo libro) e pubblica il codice sorgente di nuovi programmi, si autodefinisce come un’economia del dono, ma adotta la ricompensa del riconoscimento, che mette in moto la dinamica dello scambio e le categorie patriarcali privilegiate del Grand’uomo. In più quella stessa economia di scambio che è stata fatta uscire dalla porta, rientra dalla finestra, poiché alcuni di coloro che hanno avuto riconoscimento nell’ambito del free software, stanno accettando incarichi altamente retribuiti dalle multinazionali che glieli offrono.
Ci sono poi intere comunità sperimentali dove la gente cerca di vivere secondo un’economia del dono. Burning man è un esperimento a breve termine di questo tipo (vedi l’articolo di Renea Roberts in questo libro). Si tratta di un festival che dura una settimana e si svolge una volta all’anno, che ha avuto una grandissima diffusione in molte località del mondo. Basandosi sul lavoro di Lewis Hyde, questo festival diffonde doni di espressione artistica. Credo che l’orientamento all’altro che accompagna la logica del dono, richieda che non venga usato solo come fine a se stesso, per fare piacere a noi stessi o per migliorarci, o per lavarci la coscienza, ma al fine di creare un cambiamento sociale per tutti, soprattutto in questi tempi apocalittici. Perciò le comunità che davvero vogliono essere economie del dono dovranno trovare i modi per effettuare un cambiamento sociale più allargato. In un certo qual modo potrebbero farlo proponendosi come modelli per gli altri, ma hanno anche bisogno di moltiplicare gli effetti delle loro azioni e trovare caso per caso il modo di connettere le loro realtà contingenti a un contesto più vasto.
Tutti i gruppi e i movimenti trarrebbero beneficio dal considerare l’economia del dono come un’economia del materno in lotta paradigmatica con quella dello scambio e con il capitalismo patriarcale. Riconnettere l’economia del dono e il materno in maniera da poter vedere il donare come materno, sia che venga praticato dai maschi che dalle femmine – dai gruppi o dai governi – potrebbe inficiare la costruzione di genere mascolata e il valore attribuito all’ipermascolinità che hanno causato e stanno esacerbando così tanti dei nostri problemi.
Del dono si è discusso molto negli ultimi 30 anni, ma raramente sono state fatte delle connessioni tra il materno e il dono, né se ne sono fatte tra il dono e il linguaggio, e nemmeno tra il dono e la costruzione di genere occidentale. La maggior parte degli scrittori, quando ha descritto il dono, non ha visto che il problema più grosso stava proprio nella logica dello scambio28 e non hanno nemmeno fatto una connessione tra il patriarcato e il capitalismo. Non a caso la maggior parte di loro sono maschi e sono riusciti una volta di più a occupare un campo di ricerca e pratica che spetterebbe di diritto alle donne.
E’ importante impedire che la confusione che nasce dalla competizione tra un modello patriarcale e uno di dono, possa eliminare ancora una volta la leadership non patriarcale delle donne in un movimento per l’economia del dono. Gli uomini che sono consapevoli della negatività del capitalismo patriarcale devono accettare e sostenere le donne nella loro leadership non patriarcale. Invece di competere con loro, gli uomini possono seguire il modello materno e dare autorità alle donne. Anche le donne devono farlo, rifiutando il capitalismo patriarcale.
In questo modo il movimento internazionale delle donne insieme agli altri movimenti per il cambiamento sociale creerebbero un progetto per capovolgere il paradigma, farla finita con le guerre cambiando la costruzione di genere, risanare l’economia restaurando ed estendendo il modello materno e per salvare l’ambiente rivedendo la nostra epistemologia allo scopo di riconoscere che il sapere è ricevere/percepire i doni di ogni tipo che ci arrivano dall’ambiente, rafforzando così la nostra capacità di trattare la madre terra con gratitudine piuttosto che con indifferenza o cercando di dominarla. Solo cambiando il paradigma, capiremo che l’umanità non è una specie cattiva tendente all’autodistruzione, ma una specie che sta creando problemi devastanti a se stessa, perché una parte di sé ha costruito il suo genere nell’errore e sta facendo agire questa mistificazione su larga scala nella società. Possiamo iniziare a guarire noi stessi e il pianeta riconoscendo che tutti noi creiamo la nostra comune umanità attraverso il dare e il ricevere doni materiali e linguistici, co-muni-cando. L’economia del dono ci dà la base logica per un cambiamento sociale radicale sotto una leadership di donne non patriarcale. Dando valore al dono, possiamo smantellare il patriarcato e risolvere i paradossi che lo sostengono, in modo da non ricrearlo e non farlo ritornare.
Traduzione italiana di Anonima Network Bologna (2009)
1. Il patriarcato e il capitalismo hanno valori e motivazioni simili: competere per dominare e bramosia di accumulare per essere i più grandi, quelli in cima. Come il capitalismo, anche il patriarcato è sistemico. Ne parlo in maniera più estesa nel presente testo e nel mio articolo che segue. Torna alla nota 1 nel testo.↩
2. Sono venute alla luce nuove informazioni a proposito degli indigeni morti per le malattie portate dagli europei. Infatti le terre sembravano disabitate perché la gente che ci viveva era morta tutta a causa delle epidemie di morbillo e vaiolo arrivate dall’Europa. Quindi per cominciare, gli europei furono portatori di malattie che annientarono le popolazioni indigene. Essi ignorarono la portata della civiltà indigena perché non la conobbero. E in secondo luogo, attaccarono ferocemente gli indigeni sopravvissuti, appropriandosi delle loro terre, eliminandoli per non dover competere contro di loro. Svilupparono una visione del mondo che nascose ai loro stessi occhi la rapacità del loro comportamento, e questa visione del mondo si aggiunse alla loro ignoranza originaria. In maniera analoga, noi non riconosciamo l’economia del dono che stiamo praticando nella realtà e anche noi l’attacchiamo e la sfruttiamo, in modo da poterla negare e questa negazione si aggiunge alla nostra incapacità di riconoscerla. Torna alla nota 2 nel testo.↩
3. Barbara Mann ci racconta con il suo particolare senso dell’umorismo che la parola “How” con cui i nativi salutavano in particolare gli europei significava “Andate via”. Torna alla nota 3 nel testo.↩
4. Gli esempi di matriarcato vanno dal gruppo relativamente piccolo dei Mousu in Cina (vedi il programma televisivo Frontline/World 2005, “Il Regno delle Donne”) ai Minangkabau a Sumatra, che contano quattro milioni di abitanti, (Sanday 1998, 2002), a tribù come quelle dei Navajo, degli Hopi e degli Irochesi nell’America del Nord (Allen 1986, Mann 2000), e ai Khasi dell’India settentrionale, agli Arawak del Sudamerica e ai Cuna dell’America Centrale (Goettner-Abendroth 1991, 2000). Di queste società ce ne sono molte di più, ma ci sono anche intense polemiche a causa della minaccia che una leadership di donne rappresenta per il patriarcato. Paula Gunn Allen afferma che “Il genocidio fisico e culturale delle tribù degli Indiani d’America riguarda e ha riguardato soprattutto la paura patriarcale della ginecocrazia” (1986: 3). Definendo la leadership matriarcale ugualitaria e non come il “governo delle donne”, Paula Gunn Allen (1986), Heidi Goettner-Abendroth (1991), Barbara Mann (2000) e Peggy Sanday (1981, 2002) hanno reimpostato il dibattito in modo che la leadership delle donne, non gerarchica e inclusiva, potesse essere inclusa tra le opzioni per una trasformazione sociale. Torna alla nota 4 nel testo.↩
5. Studi sulla cooperazione e sulla “partnership” (Eisler 1988) propongono che sulla cooperazione, diminuendo i valori dei dominatori, possa essere costruito un mondo migliore. Il discorso sull’economia del dono e sul capitalismo patriarcale cerca di vedere da dove arrivino i valori di cooperazione (partnership) e di dominazione, e prova a usare questo sapere per costruire un’alternativa. Torna alla nota 5 nel testo.↩
6. La scuola di Bielefeld in Germania, formata tra le altre da Maria Mies, Veronika Bennholdt-Thomsen e Claudia von Werholf, prende in esame il lavoro al di là del lavoro salariato, come il lavoro delle donne per la sussistenza della vita, fonte dell’accumulazione del capitale. Sono d’accordo con questo approccio, ma ritengo questo un lavoro donato, e penso stabilisca un filo comune di continuità con altri tipi di dono. Torna alla nota 6 nel testo.↩
7. Poiché lo scambio si basa sulla contrapposizione, esso crea la centralità dell’individuo e un’ideologia dell’individuale come contrapposto agli altri o “alle masse”. In una società basata sull’economia del dono l’individuale apparirebbe diverso, più inclusivo degli altri. Non sto proponendo la fine dell’individualità, ma che si sviluppi su basi completamente diverse. Torna alla nota 7 nel testo.↩
8. Una prima eccezione che fa la connessione con il materno è a opera di Helene Cixous (Cixous e Clement 1975). Fra gli uomini che hanno scritto sull’economia del dono ci sono Marcel Mauss (1990 [1923-24], Bronislaw Malinowsky (1922), Lewis Hyde (1979), Alain Caille (1998), Serge Latouche (2004) e molti altri. Per contro, molte donne hanno scritto sull’economia dell’“amore”, sull’economia “informale” e sui beni comuni senza connetterli specificatamente alle economie del dono. Vedi per esempio Hazel Henderson (1991, 1999). Altre hanno teorizzato un’economia di cura inserita nella cornice del mercato (Nancy Folbre 1994, 2001). Torna alla nota 8 nel testo.↩
9. Ci sono importanti organizzazioni di donne in tutte queste aree e le donne sono molto coinvolte anche nei movimenti misti, e spesso elargiscono molti doni sotto una leadership maschile. Torna alla nota 9 nel testo.↩
10. In questo assomigliano molto all’opposizione e alla minaccia istituzionale costituite in Europa dalla religione della natura e dalla stregoneria. Torna alla nota 10 nel testo.↩
11. Ad esempio le iniziative per la giustizia economica, per un equo pagamento del lavoro, per il salario di esistenza, per il mercato equosolidale in opposizione al libero mercato, iniziative per le valute di comunità, per gli investimenti socialmente utili, per le economie solidali, per il partito della diminuzione del lavoro, forniscono modelli alternativi, aiutano a creare un’economia meno monolitica e a dare potere alle realtà di base. Questi tentativi parziali di cambiamento possono facilitare il passaggio a un cambiamento più radicale senza violenza. Credo sia importante non considerarli obiettivi finali, ma passi lungo la strada verso l’economia del dono. Torna alla nota 11 nel testo.↩
12. Poiché i genitali maschili sono la “proprietà” fisiologica per la quale ai maschi viene assegnata la loro categoria in opposizione alle femmine che mancano di questa proprietà, sembra che il possedere di più possa posizionarli genericamente in una categoria superiore. Sulle categorie di genere potrete trovare di più nel mio articolo in questo libro. Torna alla nota 12 nel testo.↩
13. Le economie africane del dono al pari degli “altri” del capitalismo patriarcale europeo vennero saccheggiate e i loro membri divennero “proprietà” attraverso lo scambio, i loro doni furono indirizzati ai “proprietari”, gli schiavisti bianchi. Torna alla nota 13 nel testo.↩
14. Per esempio Derrida (1992) vede il dono quasi impossibile, perché se è fatto per essere riconosciuto e anche quando lo è senza farlo apposta, diventa uno scambio. E la mancanza di riconoscimento del lavoro della casalinga non è forse una prova che è unilaterale? Torna alla nota 14 nel testo.↩
15. Godbout e Caille sostengono che non è necessario che il dono sia puro. Torna alla nota 15 nel testo.↩
16. Il donare matriarcale è egualitario perché non è investito da motivazioni patriarcali. Ci sono meno occasioni di lottare per il riconoscimento nelle economie egualitarie del dono perché il riconoscimento viene dato con facilità e passato da uno all’altro. (vedi Trask e Koukkanen in questo testo) Possiamo osservare che la gara a elargire nel potlatch (n.d.t. Cerimonia fastosa) dei nativi americani del nord ovest, ricalca comunque la lotta per essere riconosciuto come prototipo ed è simile alla lotta che deve esserci stata a volte in maniera inconscia, a volte conscia tra il prototipo dell’umano degli occidentali e quello degli indigeni. Torna alla nota 16 nel testo.↩
17. Nello stesso modo, dopo l’attacco dell’11 settembre alle Twin Towers, c’era molta gente in internet che chiedeva un’indagine, come cause originarie dell’attacco, sulla povertà e l’ingiustizia che gli Stati Uniti avevano contribuito a portare in Medio Oriente per mezzo della globalizzazione e delle guerre. Si sperava che aiutando le popolazioni povere dell’Afghanistan si potessero rimuovere queste cause. Invece si trovò un colpevole da punire e cioè qualcuno con cui “scambiare”, vendicandosi per il danno “ricevuto” dagli Stati Uniti. Se questa punizione ha avuto un qualche risultato, è stato quello di peggiorare le stesse condizioni che avevano causato l’attacco. Sempre che l’attacco non sia stato “un affare interno” come molti sospettano. Torna alla nota 17 nel testo.↩
18. Secondo Marx (1930 [1867] questo è valore lavoro astratto. Noi possiamo affermare che è lavoro astratto dal dono. Vengono lasciati fuori da questa astrazione il concentrarsi sul bisogno dell’altro e sulla creatività che viene messa in gioco in questa sensibilità, che include dettagli e gusti personali, insieme al valore trasmesso. Nel mercato, un prodotto deriva la sua quantità di valore dalla relazione di similitudine o differenza rispetto al valore di tutti gli altri prodotti che appartengono a quel ramo della produzione. Si tratta di relazioni astratte e generiche. L’ammontare del valore di scambio dei prodotti dipende dal tempo-lavoro socialmente necessario a produrli (calcolato anche in maniera astratta) a un dato livello di tecnologia e produttività del lavoro. Quando chi scambia vende un prodotto a un altro, quello che riceve non è un dono, ma solo un valore di scambio, che lei o lui mettono in circolo nuovamente per un nuovo scambio. “Spendere lavoro dei viventi” crea valore. Ma a meno che non ci sia qualcuno che riceve direttamente non si trasmette tramite esso nessun valore di dono perché il valore del dono implicherebbe il valore dell’altro. La metafora di Marx, quella che afferma che i beni sono “lavoro condensato”, dimostra come sia difficile immaginare la materializzazione del lavoro come valore in qualcosa, quando è separato da qualcuno che lo riceve in dono. Tale lavoro è la produzione del dono o del servizio, che non raggiunge la sua destinazione a causa dello scambio o della privatizzazione che lo fermano. Nel suo articolo all’interno di questo libro, Jeanette Amstrong ci racconta di una parola nella sua lingua Okanagan Syilx che significa “fermare il dare, mettere un ostacolo tra il dare e te stesso. Torna alla nota 18 nel testo.↩
19. I negozianti usano il dono per promuovere le vendite con degli espedienti; si tratta di un dono che viene usato con scopi di scambio. Naturalmente qualcuno può comprare qualcosa da donare a qualcun altro: si tratta di un dono oltre alla stessa interazione di scambio. Torna alla nota 19 nel testo.↩
20. Sembra che le donne vogliano includere gli uomini nei loro incontri ed eventi mentre è tipico per gli uomini non farlo. Forse questo vuol dire che le donne stanno praticano la logica del dono, che è inclusiva. Identificano un possibile bisogno dell’uomo di essere reso partecipe e cercano di donargli questo, mentre gli uomini seguono la logica identitaria che cataloga ed esclude e non li stimola a percepire un bisogno delle donne di essere incluse. Perfino quando lo percepiscono, di solito non si sentono obbligati a soddisfarlo. Includendo gli uomini, le donne rischiano di accogliere coloro che stanno praticando una logica opposta e oppositiva. Torna alla nota 20 nel testo.↩
21. La pratica diffusa in alcuni paesi di permettere che le ragazze muoiono di fame mentre vengono nutriti i ragazzi, dimostra in che misura i doni e l’implicazione di valore possano essere trattenuti. Le ragazze muoiono perché i loro genitori e la società tutta ritengono che loro siano senza valore e non valutate (poiché è lasciata morire, la ragazza è senza valore). Torna alla nota 21 nel testo.↩
22. L’idea del prototipo o del miglior esempio del tipo per la formazione delle categorie si trova nel campo della linguistica cognitiva. Vedere George Lakoff (1987) e John Taylor (2003). Torna alla nota 22 nel testo.↩
23. Ho trattato largamente questo processo nei miei libri Per-donare (1997) e Homo donans (2006) e i lettori possono saperne di più leggendo il mio saggio nel presente volume. La chiave di lettura dell’uccisione mitica freudiana del padre da parte dei figli può essere la conquista della posizione di prototipo da parte dei bambini maschi, che, vista in quest’ottica, per il bambino è un primo passaggio del processo di formazione del concetto di genere, non un’uccisione storica reale. Anche se sostituisce il padre come prototipo, il ragazzo non entrerà in un’economia del dono, come avrebbe fatto se si fosse identificato con la madre. Nei matriarcati e nelle economie del dono non perde mai la possibilità di entrarvi. Torna alla nota 23 nel testo.↩
24. Dove i capi maschi competono per vedere chi dona più generosamente – l’uomo più materno. Torna alla nota 24 nel testo.↩
25. Guardiamo ad esempio alla prospettiva del dono e alla questione del diritto all’aborto. Il solo fatto che una donna possa decidere di non dedicare anni al dono/lavoro della maternità dimostra che donare (o no) è una scelta razionale, che il non far nascer, scegliere di non dare può basarsi sull’orientamento verso l’altro da sè(riconoscere le proprie limitazioni come persona che dona in un contesto di scarsità per esempio), dando così valore e autorità alla persona che considera o decide per quell’alternativa. La possibilità di scegliere l’aborto rende alle donne un po’ dell’autorità sul dono che le religioni patriarcali hanno loro sottratto per secoli. Oltretutto se la costruzione mascolata del genere maschile rigetta la madre e impone un’identità che si basa sul non dare, la capacità delle donne (madri) di non dare, sfida la costruzione del genere maschile togliendole la sua pietra di paragone. La questione dell’aborto non è tanto una questione del diritto del feto alla vita (un diritto che sembra cessare comunque alla nascita), quanto del diritto della madre di dare o non dare, e la sua autorità sulla logica stessa del dono. Se le religioni (e i governi) perdessero la loro autorità sul donare, quale autorità resterebbe loro? Torna alla nota 25 nel testo.↩
26. Sebbene si sia scritto molto sulle donne e il linguaggio, gli scrittori si sono attenuti come punti di partenza alla linguistica, la semiotica, la filosofia del linguaggio che ci ha consegnato l’accademia patriarcale. Le femministe in modo simile hanno continuato a lavorare all’interno del paradigma del mercato. Scrivendo sul linguaggio, le femministe parlano ad esempio di come le donne usino il linguaggio in maniera diversa dagli uomini (Lakoff,r. 1975; Tannen 1990) o di come possano produrre una ecriture femminine (Cixous e Clement 1975). Quello che ci serve è una diversa concezione del linguaggio in sé che vada di pari passo con una diversa concezione dell’economia, in grado di riformulare entrambi nei termini di un paradigma del dono. Torna alla nota 26 nel testo.↩
27. Iniziative fortemente divergenti come quella della rivoluzione boliviana di Hugo Chavez, che offre assistenza sanitaria e istruzione gratuite ai poveri e prodotti derivati dal petrolio gratis ai paesi poveri, e la Fondazione di Bill e Melinda Gates, dimostrano come il dono sia praticato anche da uomini “al top”. Direi che anche quando gli uomini praticano il dono ad alto livello, stanno solo mettendo in atto l’economia del materno (e che Chavez è stato probabilmente influenzato dalla sua eredità indigena) sebbene il fatto che siano uomini nella posizione del prototipo oscuri di nuovo il modello materno. Per gli uomini mascolati si tratta forse dell’apoteosi di quello che hanno smesso di fare da bambini, il “ritorno” di quello che in senso freudiano è stato “rimosso”. Il “rimosso” in cui gli uomini filantropi diventano persino molto più donanti delle madri, alla cui identità hanno dovuto rinunciare, paradossalmente diviene una ricompensa per essere arrivati alla posizione del “numero uno”. Vedere l’eccellente libro The Better Angels of Capitalism di Andrew Herman (1998). Questo è anche il rivestimento morale di organizzazioni come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale (IMF) e il World Wildlife Fund (WWF). Il controllo patriarcale sul dono viene ancora una volta normalizzato. Torna alla nota 27 nel testo.↩
28. Il gruppo della rivista MAUSS (Movement Anti_Utilitariste des Sciences Sociales) critica ciò che chiamano “utilitarismo”, ma continuano a parlare di “scambi di doni”. Negli scritti di Serge Latouche si può trovare un’importante critica dell’“economia” come disciplina. Torna alla nota 28 nel testo.↩