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Capitolo ventunesimo Criticando il patriarcato o puerarchia, non voglio negare
la spiritualità, ma solo dimostrare che è stata usata in modo da ostacolare la pratica del dono. Il nostro fraintendimento della pratica del dono dipende in parte dal fatto che vediamo Dio come il grande donatore, e Dio è maschio;
per questo, confondiamo le caratteristiche del dare con quelle della mascolazione. Se comprendessimo Dio, il donatore, come una femmina, potremmo forse essere più coscienti del paradigma. Forse lui/lei è realmente puro altruismo, uno spirito "prima-tu" (you-first), e per questo è invisibile; crea le cose e le ama in un modo "prima-tu" e poi continua a creare e ad amare gli altri. Se non possiamo amarci l'un l'altro, blocchiamo il suo movimento. Forse gli spiriti della natura, le fate e gli angeli sono parti della dea un po' meno "prima-tu". Situare il dare nell'ambito del modello maschile nasconde che le donne lo stanno già praticando in tutto il mondo da sempre. Persino il sacrificio della vita di Cristo distoglie la nostra attenzione dalla quantità di sacrifici che le donne stanno facendo ovunque per i loro figli, i mariti e altri. La nostra gratitudine è rivolta verso il donatore maschio come fonte, e questo maschera il model-lo della madre. Io credo che l'aspetto più dannoso del Cristianesimo sia l'esaltazione del sacrificio, perché non è rivolta alle situazioni che rendono il sacrificio necessario. Il sistema che crea la scarsità, la guerra e il degrado ambientale e umano deve cambiare, e questo bisogno non dev'essere messo sullo sfondo a favore dei sacrifici di chi sta facendo buon viso a cattivo gioco. Dobbiamo avere il coraggio socio-politico di non sacrificarci, ma riconoscere le cause del problema e unirci per cambiarle, dando questo dono generale a tutti. Se potessimo cambiare il paradigma, il che implicherebbe anche cambiare il sistema della ricompensa e la struttura dell'Ego dello scambio, potremmo dare senza esaurirci. Durante la transizione da un paradigma all'altro, dobbiamo creare delle organizzazioni alternative, usare la nostra energia, la nostra inventiva e le nostre risorse. Dobbiamo decidere se lasciarci svuotare o distruggere nel processo, se rinunciare, oppure continuare a essere dei modelli di donatori che non si sacrificano. In una situazione di penuria, è fin troppo facile dare fino al proprio esaurimento, perché il dare non è generalizzato e infatti gli altri possono non dare ai donatori isolati. Nel corso della storia, le donne sono state donatrici perché i bisogni dei figli lo richiedevano; tuttavia, intrappolate dal paradigma dello scambio, siamo state spesso messe in croce, costrette a dare la nostra vita per continuare a soddisfare i bisogni, perché le circostanze in cui ci troviamo sono tanto ostili da ucciderci. Le donne sono nel giusto, il dare è la giusta via. Ma dobbiamo generalizzare il dare e cambiare il contesto perché, se ci limitassimo a farlo individualmente, verremmo distrutte. La mascolazione e lo scambio si fanno avanti, si autoconvalidano e richiamano i doni degli altri. Perciò, chi pratica le cure non riesce a vedere ciò che fa né a dare dignità alla sua pratica come norma; ha accettato i valori orientati-verso-l'Ego degli altri e così, paradossalmente, potrebbe non avere il coraggio dei propri valori e azioni orientati-verso-l'altro. Le donne potrebbero pensare addirittura che sia sbagliato dare, anche se poi lo praticano lo stesso. Hanno paura del paradigma che praticano e confondono la minaccia del sacrificio masochista dovuto alla penuria (un pericolo reale che viene dal contesto sociale) con l'idea che sia il dare a creare la penuria. Sacrificarsi per qualcosa può essere un modo di salvare questa cosa dalla distruzione, dandole valore, o un modo di riconoscerla o di denominarla, "pagandola". Il sacrificio, d'altra parte, è spesso un prodotto del dominio con la forza. Il dare mascolato L'unica cosa che abbiamo sbagliato al principio è stato lo spostamento dal paradigma del dono a quello dello scambio. Forse la storia del Giardino dell'Eden parla proprio di questo. Nel paradigma del dono, nessuna restituzione è necessaria; solo quando ci spostiamo al paradigma dello scambio sentiamo la necessità di dover ricambiare. Vedendo la consumazione della mela come un peccato di disobbedienza, che esigeva un contraccambio, la Bibbia mostra gli umani che entrano efficacemente nel paradigma dello scambio con Dio, assegnando a Lui il ruolo di punitore, che provvede alla "giusta" rappresaglia. Se fosse stato un Dio per-donante, che agiva secondo il paradigma del dono, non avrebbe richiesto un contraccambio; avrebbe piuttosto insegnato ai figli la pratica del dono, facendo da modello. Forse il sacrificio di Cristo fu un tentativo di plasma-re il dare e perdonare, ma il modello maschile del Padre e del Figlio ha cancellato il modello della dea (madre) (tutte le immagini della Madonna e del Bambino avrebbero potuto mostrarci il bisogno dei figli maschi di seguire le loro madri nutrici. Invece, l'orientamento-verso-l'altro della madre non si è mai autoconvalidato; non abbiamo mai compiuto il passo logico verso l'alto; l'atten-zione è sempre stata sull'"altro" rispetto alla madre). Perciò abbiamo pensato che la collocazione più appropriata al dare fosse la pratica materna nei confronti del figlio maschio. E poi, i valori delle donne non sono stati proposti in quanto tali per una soluzione sociale, ma alterati e tradotti secondo la figura maschile. Se Cristo era un modello maschile di pratica del do-no, e il paradigma dello scambio la griglia interpretativa, allora Cristo ha "pagato per" i peccati dell'umanità. La sua morte ha allora "pareggiato il debito", ma questo non ha permesso all'umanità di uscire dal paradigma dello scambio. Anche se ha pagato in anticipo, per i peccati che la gente avrebbe commesso in futuro, è ancora una questione di scambio. L'archetipo dello scambio è alla base di ogni nostra azione, e influenza moltissimo le nostre coscienze. Anche quando il nostro intuito spirituale e i nostri cuori ci portano verso l'altruismo, questi schemi riportano noi e le nostre interpretazioni della religione al modello mascolato. Come abbiamo visto, la nostra coscienza e la re-altà in cui viviamo si formano secondo i valori della mascolazione. La pratica del dono – il modello femminile – arriva alla nostra coscienza attraverso il filtro della mascolazione e dello scambio. Oggi il femminismo e il movimento internazionale delle donne ci hanno permesso di slegare la madre dal suo "altro" e di considerare le donne portatrici dei valori tendenti-verso-l'altro di tutta la specie. Comunicare con gli dei Gli umani hanno sempre cercato di stabilire una co-muni-cazione con gli dei, dando loro innumerevoli "doni", dal sacrificio di animali al sacrificio umano, dalle novene alle decime. Il "dono" della vita di Cristo a Dio può anche essere interpretato come un atto di co-muni-cazio-ne, la Parola, il Verbo. Non avendo riconosciuto il paradigma del dono e la sua importanza nella comunicazione, possiamo considerare il nostro tentativo d'interazione come un momento della logica di scambio. Ricattiamo la divinità: "Ti do una cosa se tu me ne dai un'altra". Forse per le pressioni della mascolazione, o per l'i-deologia dello scambio, oppure per un difetto dell'im-maginazione, consideriamo che i maggiori sacrifici dipendano dal tipo di doni che soddisfano i bisogni degli dei. Forse la nostra difficoltà di comunicare sta nel fatto che quel tipo di doni affligge la Divinità così come affligge noi. L'urlo dell'animale sacrificale che viene sgozzato fa orrore a Lui/Lei (o all'"Um"). Dobbiamo concepire altri tipi di dono, più empatici e semplici, così come sono le parole per noi: l'incenso, la musica, i fiori e il cibo. La nostra crudeltà reciproca crea un'atmosfera tossica, dove lo spirito non può volteggiare liberamente da una persona all'altra. Forse sono semplicemente le nostre attitudini mascolate a non permettere che si formino unità collettive abbastanza grandi quali soggetti co-muni-canti, che possano ascoltare ed essere ascoltate dall'Um. Se potessimo realmente spostarci al paradigma del dono, e sbrogliare la logica della comunicazione dalla logica dello scambio, potremmo forse ritrovare il giardino dell'Eden. Potrebbe essere il regno di Dio o della Dea, ma non credo che sarebbe un regno, né una democrazia; piuttosto un governo di un tipo nuovo. Dal complesso al concetto Nelle celebrazioni natalizie, esprimiamo la nostra gioia per la nascita dei bambini, il desiderio che gli umani siano migliori, la nostra salvezza, la soluzione dei nostri problemi; e vediamo nei figli la soluzione di tutti i nostri problemi. Questo è in effetti un risultato del conflitto tra paradigma del dono e dello scambio. La donna dà il figlio; l'uomo dà il nome, l'eredità. Il figlio prende il posto dei genitori. Il futuro viene scambiato con il presente, o prende il suo posto, e il conflitto viene tramandato, come "dono", di generazione in generazione. Questa eredità è uno strano tipo di dono, che implica una divisione contorta del lavoro, come quella tra i mariti stipendiati e le mogli non stipendiate. Scambiamo nel presente per poter dare agli altri nel futuro; ma nel futuro, gli altri scambieranno o daranno? Oggi, alla soglia del XXI secolo,
stiamo impegnando sia il presente sia il futuro nello scambio; stiamo
rendendo il futuro un "dono" a noi stessi, e non stiamo tramandando una buona terra. Stiamo creando la scarsità, rendendo impossibile l'economia del dono per i nostri figli e per le generazioni future; stiamo convalidando il sistema, stiamo dando un meta-giudizio a favore dello scambio, e così diventa
impossibile praticare effettivamente il dare1. La madre ha sempre dato il dono dei propri figli al marito. L'antico diritto di primogenitura era una forma
derivante dalla mascolazione in uso tra le famiglie ricche e potenti. Secondo
la logica del Cristianesimo, se Cristo era il figlio di Dio ed era anche
un uomo, e gli uomini erano fratelli, la relazione uno-molti di Cristo con
loro era come quella del primogenito con i fratelli; la relazione uno-molti di Dio creatore con gli uomini (mankind) è uguale
alla relazione uno-molti di Cristo con gli uomini (mankind). Queste
relazioni sono simili all'esemplare uno-molti e alla parola uno-molti. Anche se la relazione dell'artigiano con i suoi prodotti (che lui ha fatto a propria immagine) o del padre con i figli è un "complesso" di somiglianza familiare, può trasformarsi in una relazione concettuale quando venga individuata la caratteristica comune tra le unità. La caratteristica comune degli umani è espressa nelle loro anime "redente", che sono in relazione con Cristo quale esemplare uno-molti. In questa relazione, Cristo è anche uguale a Dio, ed è la Sua parola incarnata o rappresentante sulla terra. Se Cristo è Dio, e il figlio è il padre, lui sta da entrambe le parti dell'equazione tra la parola e l'esemplare. Il mythos cristiano può anche essere letto come un'esplorazione del processo di formazione del concetto (v. Figg. 39 e 40). Adesso risultano evidenti altri elementi dello scam-bio di cui abbiamo parlato. Ad esempio, anche Cristo è l'equivalente generale, e la sua vita è il mezzo di scambio – il denaro – che paga per i peccati degli uomini. Se lepersone sono peccatori, non sono uguali tra loro e non possono accedere alla relazione concettuale con Dio come "molti-a-Uno" perché mancano della caratteristica comune. Molti racconti della Bibbia descrivono i peccati degli umani. Il peccato di Adamo ed Eva li rende diversi da Dio e, rivelando la loro nudità, dà loro la consapevolezza di essere diversi l'uno dall'altro. L'omicidio per mano di Caino del fratello, Abele, ha reso anche Caino diverso dagli altri uomini. L'Antico Testamento è una cronaca delle differenze umane. Pagando per l'umanità e per-donandola, Cristo ha reso gli uomini simili tra loro e capaci di accedere alla relazione concettuale con lui quale esemplare identico al Padre. La disobbedienza di Adamo ed Eva sembra abbia creato un debito con Dio, e l'idea di debito appartiene al paradigma dello scambio. Il debito ha fatto credere agli umani di dover dare a Dio (creando co-muni-cazio-ne), una motivazione dall'aspetto di dono ma che è in realtà il pagamento per una trasgressione. Si è forse pensato che pagando per il peccato non ci sarebbe stato più debito, e così sarebbe tornato il paradigma del dono. Invece, gli umani non hanno commesso un peccato, né hanno contratto un debito, né hanno compiuto un atto di non-dare (non-dare obbedienza a Dio). Era solo perché hanno abbracciato l'idea di restituzione, di scambio, che hanno poi dovuto pagare. Sfortunatamente, come la storia ha poi dimostrato, il "pagamento" di Cristo non ha dequalificato il paradigma dello scambio, anche se Cristo era "per-donante". Pagare per i peccati dell'umanità fu uno scambio, anche se il sacrificio della vita di Cristo era forse un tentativo di mostrare il modello del dare in una situazione in cui la giustizia era scarsa e l'empatia veramente mancava. In realtà, le donne si sacrificano continuamente in situazioni simili, non per pagare per qualcosa, ma per soddisfare i bisogni di chi è sottoposto alle loro cure. Forse il fatto che Cristo sia nato da una vergine lo fa sembrare figlio del paradigma del dono, al di fuori della sessualità genitalizzata e al di là dell'Ego maschile2.
Proporre una pratica del dono derivante dal modello maschile è comunque pericoloso. Le Chiese che onoravano gli insegnamenti di Cristo hanno instaurato la misoginia, le gerarchie religiose mascolate, che hanno a loro volta appoggiato le gerarchie politiche ed economiche, invaso altri territori e massacrato i popoli di altre fedi con la scusa d'insegnare loro l'"altruismo". Per cambiare i paradigmi, dobbiamo identificare il paradigma del dono con le donne in modo generale, seguire la loro guida, e non ripetere le strutture mascolate uno-molti che si auto-propagano, che generano le gerarchie e promuovono la competizione e la dominazione. La sopravvalutazione della posizione dell'esemplare concettuale di "uno" è senz'altro una parte importantedel problema. È un elemento del processo della mascolazione che deve essere smantellato per poter tornare al paradigma del dono come norma. Sfortunatamente, gli aspetti sia logico sia organizzativo del Cristianesimo hanno associato l'immagine di un dio maschio donatore alla posizione dell'"uno" e alle caratteristiche mascolate della sopraffazione e della dominazione. La pratica del dono su scala sociale viene continua-mente male interpretata, mentre la modalità del dono su una scala interiore individuale non viene vista. La pratica del dono interiore, in effetti, non dà soltanto un'immagi-ne statica, come abbiamo accennato nel caso dell'homun-culus. Ma il dare interno viene spesso paralizzato e reso inconscio, per la mancanza di modelli convalidati di pratica del dono all'esterno. Forse i modelli del sacrificio di Cristo e del sacrificio dei santi della religione fornisce un contesto che, almeno in parte, convalida il dare e l'indivi-duo. Tuttavia, se rendiamo la pratica del dono sacrificale e il paradigma del dono una pratica pia, invece di riconoscere la loro esistenza in ciò che le donne e gli uomini fan-no già tutti i giorni, li allontaniamo dalla nostra portata. Il padre autoritario La religione patriarcale fornisce un certo numero di false immagini del donatore maschio. Il Padre, che si suppone non abusi dei suoi figli, li ha in realtà espulsi dal Giardino dell'Eden per aver mangiato una mela e perciò, come i padri umani, esige che siamo ciechi e ignoriamo la sua ingiustizia. Come modello di donatrice, interior-mente ed esteriormente, la Devozione (Godliness) lascia spazio a molte trasgressioni, soprattutto sulla linea del-l'autoritarismo. Quanti bambini hanno subito abusi in nome della volontà di Dio, e quanti hanno subito violenze in nome della santità dei loro padri e della necessità di pietà filiale? In realtà è sbagliato chiamare "buono" il Dio di questi padri, perché la compassione sembra passare in secondo piano rispetto alla loro idea di buona azione, di un'azione che rafforza i loro Ego mascolati. Dopo aver proiettato i loro valori su un onnipotente Patriarca, gli uomini lo usano per giustificare il rafforzamento dei loro Ego, giudicando buoni i modi autoritari. Quando mettiamo in questione la presenza del male e della sofferenza nel mondo, ci viene risposto che essa va oltre la nostra comprensione. In realtà, l'immagine autoritaria di Dio convalida gli schemi violenti negli uomini, e non convalida il nutrire/dare cure e la compassione delle donne, perché dice che il Dio maschio, che è anch'esso autoritario, è assolutamente buono, e non ammette nessuna immagine femminile di Dio. Questa è una delle cause della sofferenza. Se pensiamo di non poterlo capire alimentiamo solo l'ignoranza dell'abuso. Abbiamo un tabù sull'idea che il nostro concetto di Dio potesse causare che gli uomini mascolati continuino a creare la sofferenza. Allo stesso modo, spesso le madri rifiutano di vedere gli abusi che i padri continuano a perpetrare sui figli, e fanno affidamento sul lato buono del marito, e sulla "imprevedibile volontà di Dio". Possono perciò tollerare gli abusi e, così facendo, diventano anch'esse partecipi. L'immagine del donatore viene quindi assimilata al-l'immagine dell'Ego mascolato autoritario oppure risponde alla figura femminile senza potere, che nutre/dà cure al maschio, e al massimo intercede come la Vergine Maria, difendendo umilmente la causa del figlio davanti all'Autorità maschile. Nel frattempo, il bambino che la madre sta allevando è in realtà lui, l'autorità maschile in miniatura. Perciò, la Madre che è in noi si trasforma in piccole iniziative orientate-verso-l'altro o in rimorsi di coscienza che fanno appello alla nostra volontà mascolata per il potere. Sminuiamo l'intercessione della madre a favore di altri come compassione non realistica, come fremito di un cuore addolorato. Se lei riesce a suscitare in noi qualche accenno di orientamento-verso-l'altro, viene dato credito al Buon Padre, l'Ego mascolato "caritatevole". Potremmo forse cancellare quest'immagine illusoria del padre e assumere il modello di Maria. Dovremmo cambiare l'immagine che abbiamo di lei, slegare il suo orientamento-verso-l'al-tro dall'idea di obbedienza e d'intercessione rivolgendolo alle pratiche di cura dell'umanità e del pianeta con pieni poteri, soprattutto delle donne e dei figli. Recentemente, in effetti, il movimento della spiritualità delle donne (Women's Spirituality Movement) ci ha restituito molte immagini femminili del Divino, come quella di dee donatrici che sono anche potenti. Il Santo Graal e l'alchimia Il Santo Graal è una fonte gratuita di abbondanza. Il Graal, la coppa, è anche simbolicamente la cornucopia o l'utero. Forse l'aspetto spirituale del racconto sulla ricer-ca del calice dell'Ultima Cena da parte di eroi leggendari ci dice ancora una volta che il problema non è biologico, ma sociale. Il Graal non è una cosa materiale ma una logica, un modo di organizzare il nostro comportamento economico. Il Graal è il paradigma del dono; non è un oggetto fisico – non è l'utero né la vagina, non è il seno né il pene, non è un corno né una spada, non è un calice né una lama – ma è il rifiuto di allineare in modo sbagliato microcosmo e macrocosmo; è il rifiuto di creare lo spostamento verso la struttura artificiale dello scambio e del suo Ego al posto dell'abbondanza e le pratiche di cu-ra. Il Santo Graal è il dono che dà, il dono del paradigma del dono che tutti noi riceviamo dalle nostre madri; dobbiamo soltanto superare i nostri complessi dell'infanzia e le nostre errate interpretazioni mascolate del linguaggio e della vita, per essere infine capaci di riceverlo. A sostegno di questa interpretazione sociale del Santo Graal possiamo provare a interpretare la pratica del-l'alchimia in termini marxisti. Qualsiasi merce può diventare l'equivalente generale scelto socialmente, il denaro, anche se di fatto l'oro è quello che l'ha fatto. L'al-chimia poneva in realtà una questione rispetto a una scelta sociale; trasformare i metalli non nobili in oro è la proiezione fisica del problema: "Come può una cosa diventare denaro?". Questa domanda rimanda a un altro interrogativo: "Come può un bambino diventare maschio?", oppure, "come può una parte del corpo diventare un pene, una marca della categoria ‘maschio'?", o ancora, a una questione ancora più nascosta: "Come può una parte del corpo diventare vagina, utero o seno, produttrici di vita e di pratiche di cura?" e "come possono l'utero o i seni diventare "l'esemplare'?". Sia l'alchimia sia la storia del Santo Graal mostrano alcuni aspetti del problema sociale della mascolazione interpretato su un piano materiale. Abbiamo visto che la posizione dell'esemplare viene attribuita socialmente e non è una caratteristica propria degli oggetti materiali. Il valore speciale dell'oro non viene dal metallo in sé; è piuttosto una caratteristica sociale, che deriva dall'uso dell'oro come equivalente generale – l'esemplare del va-lore – nello scambio. Potremmo assegnare socialmente questo ruolo a pezzi di piombo specificamente designati, così come lo abbiamo assegnato socialmente alla carta stampata. La relativa scarsezza di oro lo ha reso un mezzo di scambio funzionale; e la relativa scarsezza è possibile per la particolare stampa della cartamoneta in quantità limitate. Potremmo stampare altrettanto facilmente pezzi di piombo, anche se sarebbero pesanti da portare in tasca. Per ironia, se gli alchimisti fossero riusciti a trasformare il piombo in oro, ci sarebbe stato tanto oro che non sarebbe più servito come equivalente generale, e si sarebbe perso lo scopo stesso della trasformazione. La trasformazione dei metalli non nobili in oro è di fatto avvenuta. L'unico elemento a non essere entrato nel processo è l'identità fisica materiale del piombo e dell'o-ro. Nella trasformazione, l'identità fisica delle unità sottoposte alla trasformazione era di fatto irrilevante; era essenziale invece l'affinità tra le unità usate come denaro materiale (le banconote, le monete ecc.) e la loro produzione in quantità limitata. Questo ha permesso il loro uso sociale come equivalente generale. Il piombo che contava era, alla fine, quello usato per stampare la cartamoneta. La scelta dell'oro o della carta stampata come equivalente generale è dovuta a diversi fattori sociali e storici. Il fatto che scegliamo un oggetto come esemplare del valore di scambio è dovuto alla mascolazione e alla sua espressione psico-economica nello scambio. La ricerca del Santo Graal è il segno di un problema analogo: la ricerca di un cambiamento sul livello sbagliato. L'oggetto fisico, il graal, non è la fonte dell'ab-bondanza. E non lo è neanche l'utero, quale equivalente simbolico della coppa. Anche se l'utero riporta all'i-dea di madre, e la ricerca del Graal all'idea di oggetto privilegiato, la soluzione del mistero non è nel trovare l'oggetto o contemplare l'utero, né nel dare un utero fisico agli uomini o castrarli per poterlo fare (o ferirli per dare loro una "vagina"). E la risposta non è nemmeno nella ricerca in sé. La risposta è invece nello spostamento dai livelli fisico e metafisico ai livelli sociale e psicologico. Capendo e smantellando il processo sociale della mascolazione, possiamo restituire il modello materno a tutti, provvedendo a un'economia di nutrimento/cure (un cornucopia o graal sociale), che soddisferebbe tutti i bisogni in abbondanza. Un'economia di nutrimento/cure non richiederebbe nessun cambiamento nei corpi fisici del-l'uomo o della donna, nessuna castrazione o aggiunta di organi dove in origine non ci sono. Sarebbe sufficiente cambiare la nostra interpretazione di queste differenze, e smantellare le loro proiezioni psicologiche, economiche e sociali. Siamo stati costretti a cercare la fonte di ogni bene perché non ci siamo posti la (giusta) domanda; il punto non è "che cosa affligge il cavaliere?", anche se questo solleva la questione della castrazione e il legame con la ricerca della pratica del dono (in realtà la domanda somiglia moltissimo al nostro saluto "come stai?", che può potenzialmente iniziare un'interazione co-muni-cativa). La domanda che avremmo dovuto porci, sia in passato sia oggi è all'incirca questa: "Come possiamo provvedere all'abbondanza per tutti?", la cui risposta, sia in passato sia oggi sarebbe simbolicamente il Graal, "segui il modello materno che pratica le cure e dà vita". L'ulti-ma domanda di Percival, "a cosa serve il Graal?", è simile alla domanda "per chi è?" che sta alla base della divisione tra pratica del dono e scambio. È per l'altro o per l'Ego, è per il Re Pescatore presente o futuro o è per Dio? O dovremmo forse applicare al Graal la risposta di Marx alla questione del linguaggio e vedere la sua infinita creatività nella logica tendente-verso-l'altro della socializzazione umana, la logica che va un passo più in là: "Per gli altri e, perciò, effettivamente anche per me?". In un recente saggio sul Santo Graal, Graham Phillips (1996) stabilisce una corrispondenza tra il romanzo cavalleresco medievale francese, La Folie Perceval e i tarocchi, e in particolare la carta della papessa (l'immagine di una donna in una posizione papale uno-molti). Phillips tenta anche d'identificare il Graal con il segreto Gnostic
Gospel of Thomas Didymus, di cui pare fu scoperta una copia completa in Egitto nel 1945. Un brano citato da Phillips sembra avere un rapporto con il modello materno e la liberazione dalla mascolazione: Gesù vide dei figli che venivano allattati, e disse ai suoi discepoli: "Questi figli che vengono allattati sono come coloro che entreranno nel Regno". E i discepoli dissero a Gesù: "Quindi noi, come figli, entreremo nel Regno?", e Gesù disse loro: "Quando farete di due uno, e quando fa-rete l'interno come l'esterno e l'esterno come l'interno e l'alto come il basso, e quando trasformerete il maschio e la femmina in un singolo uno, così che il maschio non sarà maschio e la femmina non sarà femmina, quando fa-rete gli occhi al posto di un occhio, e una mano al posto di una mano, e un piede al posto di un piede, e un'imma-gine al posto di un'immagine, allora entrerete nel Regno. Diversi elementi di questo passaggio ricordano il recupero del modello materno che nutre/dà cure, in particolare l'unità non mascolata del maschio e della femmina, e il modello del seno. L'unità tra gli opposti e il ritorno alla sostituzione di alcune cose con altre, sono forse trasposizioni della co-muni-cazione materiale. Le pratiche di cura maschili La transustanziazione attraverso la definizione o la denominazione ("questo è il mio corpo; questo è il mio sangue") dimostra in effetti la questione dell'alchimia. Dio o Cristo quale esemplare del concetto di uomo (mankind) trasforma il pane e il vino nell'esemplare (se stesso). In quanto uomo esemplare che nutre/dà cure, si trasforma in cose da mangiare e da bere3.
La transustanziazione, come anche la mascolazione, dimostra il potere
della definizione. L'effetto della denominazione non è fisico, come sarebbe per un miracolo (come nella trasformazione dell'acqua in vino), ma sociale. Il Santo Graal, il simbolo della madre, è il
posto in cui creare un maschio che pratica le cure, reinterpretando
e riformando il meccanismo sociale della denominazione, in particolare
della denominazione di genere. La sostanza (sub-stan-ce) non è altro
che comprensione (under-standing). Forse, nei sacramenti o nella Chiesa, viene data più attenzione alla qualità esemplare del processo di transustanziazione che al carattere materiale del pane e del vino. Dal pane e vino materiali dobbiamo solo passare al carattere esemplare di Dio, non a un altro materiale fisico. E Dio è il "il divino dalla forma umana", un'idea sociale, che segue il processo di altre idee sociali, che lui/lei esista in quanto tale o meno. La "transustanziazione" somiglia moltissimo alloscambio e alla mascolazione. È un cambiamento di stato di qualcosa, che avviene mettendo in relazione questa cosa con una nuova parola quale suo nome. L'"esempla-re degli esemplari" denomina (e indica) qualcosa come se stesso, e il prete ripete questo processo. Se il Dio maschio è l'Uno equivalente generale, il suo trasformarsi in cibo trasforma questa materia in esemplare e trasforma l'esemplare maschio in colui che nutre/dà cure. L'"ospi-te" è, dopotutto, solo un "assaggio" (taste), un esemplare. Nello stesso momento in cui il pane e il vino si trasformano in corpo e sangue, il modello si sposta dal maschio alla femmina, dalla sopraffazione al nutrire/dare cure; e questo è realmente l'assaggio di un mondo migliore, anche se è nascosto nel tabernacolo della religione patriarcale autoritaria. La forma simbolica del Graal coincide con i suoi contenuti, trasponendo un sacrificio reale in uno simbolico, dando un dono che può facilmente essere dato (pane e vino) invece di un dono che non può esserlo (il cor-po e il sangue). I preti maschi hanno quindi potenzialmente qualcosa da dare, diventando con le loro parole più simili alle donne nutrici, modellando il dare gratuito. Per le loro parole, "questo è il mio corpo, questo è il mio sangue", nel rituale, si presume che i preti cambino la sostanza delle cose, il pane e il vino. Cambiando le nostre parole di genere, potremmo cambiare la sostanza (la comprensione, under-standing) dei maschi in coloro che nutrono/danno cure. La comunione punta all'uma-no privo di genere, che si nasconde all'interno del modello del maschio che pratica le cure. Adesso abbiamo bisogno di reinstaurare il modello della donna che pratica il dono. Questo modello o entrambi i modelli devono servire per cambiare il sistema mascolato, per il quale il sacrificio è funzionale. Con questo cambiamento, potremo creare un sistema nel quale saremo in grado di condividere non il cibo simbolico ma il cibo reale, localmente e globalmente, trasformando in questo modo la realtà. Potremmo comprendere le parole come il potere della collettività di trasformare la nostra comprensione, e gli "uni" come elementi dei nostri processi concettuali, liberando lo spirito dal patriarcato. Il sacrificio umano Oggi stiamo sprecando la nostra ricchezza in cose che non soddisfano i bisogni, per stimolare l'economia; in questo modo i nostri doni di valore non vengono dati l'uno all'altro, ma all'economia. Sprecare e distruggere i prodotti crea la scarsità. I prezzi sono alti perché le merci non si accumulano e perciò non creano l'abbondanza che renderebbe inutile l'intero sistema. Chi partecipa come venditore al ciclo di creazione dei falsi bisogni artificiali e degli scarti riceve maggiori profitti in cambio dei suoi sforzi. Non solo riceve i doni del plusvalore dei produttori nel suo paese e all'estero (e la questione della differenza tra i tassi di cambio e i livelli di vita fa sì che l'economia globale di un paese dia all'economia globale e agli agenti economici individuali di un altro paese), ma riceve anche i doni dell'ombra di tutti i bisogni che rimangono insoddisfatti perché l'abbondanza non è stata fatta crescere. Non può esserci "sgocciolatura" (trickle down) perché la coppa che avrebbe potuto essere il Graal non vie-ne mai riempita fino all'orlo né lasciata traboccare; i doni fuoriescono come scarti da un'incrinatura nel fondo. Nel frattempo, i bisogni insoddisfatti di milioni di per-sone, tra cui i quarantamila bambini che ogni giorno muoiono di fame e di malattie evitabili in tutto il mondo, sono sacrifici umani che danno valore ai "bisogni" del libero mercato. I sacrifici umani rituali che permettevano di mantenere la società piramidale degli antichi Maya prevedevano l'uccisione di poche persone scelte per il bene di tutti; forse i Maya erano, dopotutto, più compassionevoli e più consapevoli di noi. Sacrifichiamo milioni di vite umane per creare la scarsità necessaria a far funzionare il nostro sistema, per mantenere le piramidi sociali, le gerarchie, le catene di doni verso l'alto, e le catene di definizioni e di comandi verso il basso. Ma per chi è al potere, questi sacrifici avvengono "altrove": i doni che ci vengono dati sono invisibili e, se pure vengono visti, non viene riconosciuto il loro legame con la nostra economia. Le ribellioni che avvengono "altrove" vengono soffocate con l'uso di armamenti abbondanti, la cui fabbricazione converte l'e-nergia e il denaro in mezzi di distruzione, e porta più profitto a produttori e venditori, esaurendo ancora di più le riserve dei mezzi per nutrire/dare cure. Nel "Primo Mondo", vediamo immagini di gente menomata o che muore di fame in altri paesi (o per la strada), e attribuiamo la loro condizione a calamità naturali locali o alla "natura umana". Ma se si fossero trovati in un sistema diverso, in un ambito di abbondanza, la loro situazione sarebbe stata diversa; perciò le loro morti, conseguenza della scarsità creata artificialmente e dei loro doni eccessivi rivolti a noi, danno valore al nostro sistema, cedendo il passo. Pensiamo che il nostro benessere sia dovuto a una buona sorte circoscritta o al nostro "meritare", e neghiamo il trasferimento di ricchezza e di valore che arrivano a noi da altri paesi e classi sociali. La civiltà Maya improvvisamente si estinse; e con es-sa finirono i loro rituali sacrificali umani. Sono state formulate diverse ipotesi sulle cause di questa fine a quanto pare improvvisa, come la siccità, le malattie o la conquista. Io preferisco pensare che qualcuno abbia infine cambiato la propria comprensione (under-standing) pronunciando le parole sacre: "Così non funziona; fermiamoci subito"; e che quindi l'intero gruppo, con un grande atto di civiltà, abbia deciso di fare ritorno alla vita rurale, per vivere in pace con i propri amati, per rinunciare ad attribuire valore alla piramide sacrificando e dan-do beni e obbedienza in modo piramidale. Noi possiamo fare lo stesso. I Maya sacrificavano l'"uno" come un dono nella co-muni-cazione materiale con gli dei, che si pensava avrebbero restituito doni di abbondanza; facevano poi scorrere il sangue dalla lingua (la parola) e dal pene (la "marca" della posizione di uno) del re. Come nel caso di molte altre culture, i Maya sacrificavano l'"uno" privilegiato come rappresentante del gruppo. Oggi stiamo sacrificando la vita di milioni di persone, non per gli dei, non come rappresentanti, ma per dare valore al sistema mascolato, che percepiamo come fonte del nostro nutrimento/cure, la nostra unica fonte naturale di vita. Il valore culturale dato al profitto e alla ricchezza proviene anche dal sacrificio dei figli e delle madri del futuro, visto che oggi il degrado ambientale sta distruggendo i loro mezzi per praticare le cure. Il cancro, dovuto alle radiazioni nucleari e alle sostanze chimiche nocive, attacca il simbolo e la fonte della pratica del dono delle donne, il seno. Negli USA ha
raggiunto livelli epidemici: sembra che una donna su otto contrarrà un
tumore al seno. Sembra di fatto che quasi metà della popolazione contrarrà un qualche tipo di cancro. La malattia attacca anche la "marca" della mascolazione, con il cancro alla prostata; e anche gli spermatozoi, soprattutto negli uomini bianchi, si stanno riducendo drasticamente negli ultimi anni, a quanto pare per cause ambientali. Se non sfidiamo le statistiche incomplete sul cancro fornite dagli apologisti del libero mercato, come l'American Cancer Society e l'American Medical Association, il sacrificio dei nostri seni, la nostra capacità di riprodurci e la nostra vita continueranno a dare valore all'economia dello scambio. Le fonti del cancro quali le radiazioni nucleari e le sostanze chimiche tossiche che le industrie del libero mercato rilasciano nell'ambiente rimangono invisibili, continuano ad accumularsi e diventano permanentemente abbondanti, mentre le risorse che danno vita diventano sempre più scarse. Le persone coinvolte nella cura delle malattie ricevono i loro mezzi di sussistenza dal sistema e danno a esso la propria gratitudine e fede; perciò è improbabile che attribuiscano allo stesso sistema la causa dei tumori. Come le donne che sopravvalutano la mascolazione, queste persone danno valore agli stessi processi che causano il problema, mentre cercano di prendersi cura degli individui che sono rimasti colpiti da essi. Il sistema non è solo un marito caritatevole, anche se talvolta duro, a cui dobbiamo dare valore e che dobbiamo seguire, cercando di limitarne i danni; è un meccanismo pericoloso, che dobbiamo riconoscere, capire e smantellare passo per passo, così da non distruggere tutte le persone che vivo-no al suo interno e intorno a esso. In questo modo, potremmo cambiare le nostre coscienze e cominceremmo ad attribuire valore non allo scambio, ma ai bisogni di tutti e alla loro soddisfazione su tutti i livelli. Smetteremmo di sacrificare noi stessi, i nostri figli e i miliardi di esseri umani sconosciuti per mantenere il nostro sistema piramidale, e dirigeremmo i nostri doni verso la co-muni-cazione con tutti nell'ab-bondanza. Possiamo cominciare a costruire un Santo Graal per la società nell'insieme, la cornucopia della co-muni-cazione, pronunciando le parole sacre della transustanziazione, cambiando la nostra comprensione (un-der-standing) sociale: "Fermiamo questa devastazione subito"4. 1 Forse lo scudo spaziale di Guerre stellari e
ora la mascolazione dello spazio sono un tentativo di proteggere lo scambio
dal dare a un livello meta, sopra, nello spazio. La metafora di meta è stata portata così lontana con una spesa di miliardi di dollari, perché semplicemente
non capiamo quello che stiamo facendo. 2 Infatti
il rapporto fra Dio, Maria, Giuseppe e Gesù ricorda quelli nelle società nei
quali il fratello della madre (una persona che non ha rapporti sessuali con lei) ha il ruolo paterno per i figli di lei. 3 L'idea cristiana non era nuova. Per esempio nella tradizione della grande dea, il dio figlio Dionisio è anche stato mangiato nelle sue varie forme. "Come dio della vegetazione è stato sacrificato nel rito, generalmente su di un albero (prototipo della più tarda croce). Si mangiava la sua carne come pane, si beveva il suo sangue come vino…" (Sjoo,
Mor 1987). 4 Colpisce che la bomba di Hiroshima avesse il nome "Little Boy"(Ma-schietto). Il nome "El Niño" indica la fonte a varie profondità dei nostri problemi con il tempo. |
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