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Capitolo nono

È = $

Il bisogno che la parola-dono soddisfa non è un bisogno volto direttamente all'oggetto, né un bisogno di consumare quell'oggetto. Per questo non dobbiamo portare fisicamente con noi le cose di cui parliamo, come facevano i filosofi nei Viaggi di Gulliver di Jonathan Swift. Via via che le nostre esperienze si accumulano, sorgono bisogni comunicativi sempre nuovi di stabilire relazioni umane inclusive reciproche, rispetto a tutte le parti del mondo. Questi bisogni comunicativi vengono soddisfatti dan-do doni verbali per stabilire le relazioni, anziché dando e ricevendo doni materiali. In questo modo, trasformiamo ciò che poteva sembrare un mondo oggettivo in un mondo d'intensa pratica del dono, nel quale gli esseri umani interagiscono l'uno con l'altro sulla base del dono, almeno in questo singolo ambito della loro vita, in ogni momento. Il dare linguistico esiste sempre, qualunque altra cosa facciamo, persino quando abbiamo un comportamento disumano l'uno nei confronti nell'altro. Se potessimo quindi allineare le nostre azioni nel mondo materia-le agli aspetti di dono del linguaggio, avremmo posto le basi per il fiorire dell'umanità.

Le parole-dono hanno comunque diversi vantaggi rispetto alla maggior parte dei doni materiali: per gli esse-ri umani le parole sono innanzi tutto facili da creare e da immagazzinare; in secondo luogo, le diverse istanze di una parola sono di fatto utilizzati come una sola parola.

Il fatto che diversi eventi sonori sono capiti come una cosa sola permette che la parola sia per ognuno di noi la "stessa cosa" che è per gli altri; fa anche sì che la parola abbia la caratteristica di essere in due o più posti nello stesso momento. In terzo luogo, tali peculiarità danno luogo alla generalità della parola, dal momento che essa può essere usata ripetutamente da molti, come qualcosa alla quale le cose possono essere messe in relazione e rispetto a cui si possono instaurare le relazioni umane. Una parola può essere potenzialmente detta da tutti e anche potenzialmente ricevuta da tutti.

L'atto di sostituzione dei doni verbali per i doni materiali, così come per cose "immateriali", eventi, situazioni, idee considerati in quanto per-gli-altri, è un atto specificatamente umano. La parola è un tipo di dono sostitutivo speciale e i bisogni comunicativi che soddisfa sono bisogni specificamente umani, che si sono anche adattati ai mezzi volti a soddisfarli. Moltiplichiamo i bisogni per il numero di cose disponibili di cui parlare che siano abbastanza significative da determinare la nascita di una singola parola-dono (un nome) al riguardo, e otteniamo un plenum linguistico caratterizzato da una immensa varietà e capacità di combinarsi, al quale ciascuna parola partecipa come una tra le molte e che tutti nella comunità possono potenzialmente usare.

L'essere meta

Esiste una parola astratta, il verbo "essere", che ha dato molto da riflettere ai filosofi. Anche se non viene usata in tutte le lingue, quando c'è la sua presenza è affascinante. La sua trascrizione logica e quantitativa, nel segno "=", sembra essere tanto diffusa quanto l'econo-mia di mercato. Credo che, nella definizione, il verbo "essere" sia una parola-dono che soddisfa un bisogno

Figura 14. Sostituire gli atti di sostituzione inserisce un meta momento nella frase. Come singolo sostituto di atti di sostituzione, "è" diventa molto generale.

Nella definizione, il verbo "essere" sostituisce l'atto di sostituzione di una parola per altre parole o di una parola o proposizione per un tipo di cosa.

comunicativo sorto dalla frase stessa nella quale è inserito. Sostituisce gli atti di sostituzione (di doni per lo più non verbali) che le altre parole nella frase hanno appena compiuto o stanno per compiere. Nella frase "il gatto è un felino domestico", "è" è il dono sostitutivo dell'atto di sostituzione, che si compie pronunciando "gatto". Al-lo stesso tempo, sostituisce la sostituzione verbale seguente, "felino domestico", che così può essere visto come un atto dello stesso tipo di quello di "gatto". Considerare il verbo "essere" un sostituto di altri atti del donare verbale, che avvengono all'interno della stessa frase di cui esso fa parte, ci permette di considerarlo un elemento "meta" della frase (v. Fig. 14). Questo produce il carattere temporalmente presente del verbo "essere", visto che i suoi riferimenti (le "cose" in relazione a esso) sono immediatamente lì, in quanto avvengono all'inter-no della stessa frase. Questo atto di sostituzione con la parola-dono è di per sé un servizio, che viene svolto per l'altro: soddisfa un bisogno comunicativo meta-frasale, il bisogno di una rappresentazione (re-presentation, un dare di nuovo) degli atti che avvengono nella frase stessa, stabilendo una relazione tra le persone in riguardo agli atti nel qui e ora. Questa introduzione di un passaggio a un meta momento all'interno della frase media la sua funzione di definizione, permettendo al definiendum di sostituire il definiens.

Se il linguaggio funziona effettivamente secondo il principio di pratica del dono sostitutiva, è evidente che in qualsiasi momento devono verificarsi numerosissimi atti di sostituzione. L'atto è già di per sé molto generale. La parola che funziona come dono sostitutivo dell'atto di sostituzione è perciò la più generale di tutte; non esistono altre parole che abbiano lo stesso livello di generalità. Questo non le impedisce però di rimanere umile edi poter essere usata ampiamente. È per la sua posizione unica che il verbo "essere" in sé è difficile da definire; ma noi cerchiamo comunque di definirlo, dal momento che non sembra altro che una parola come un'altra. Le nostre menti hanno un sussulto e sembrano espandersi al mondo intero e contrarsi al presente immediato, quando diciamo cose del tipo "l'essere è". Forse perché "l'essere" – il verbo "essere" – è una meta parola-dono (non un semplice sostituto, bensì il dono-sostituto del-l'atto stesso di sostituzione della parola dono); è molto generale e al tempo stesso non ha un gruppo di termini sul suo stesso livello di generalità al quale possa essere opposto come valore1.

Perché le parole e i bisogni comunicativi che esse soddisfano si sviluppino, deve essere mantenuto un piano verbale appartenente a tutti che si aggiunge al piano della vita non verbale. Quando le cose diventano abbastanza importanti sul piano non verbale, esse acquisiscono sul piano verbale un dono comunicativo collettivo permanente, sotto forma di una parola. Quella parola viene usata nel momento in cui spostiamo la nostra pratica del dono comunicativo dal piano non verbale a quello verba-le. Questo spostamento può essere considerato una sostituzione: possiamo accedere al dono verbale e utilizzarlo al posto del dono non verbale (o, nella definizione, al posto di altri doni verbali) per creare legami con l'altro. È proprio questo spostamento, o atto di sostituzione, che nominiamo quando diciamo "è"; per questo possiamo usare "è" sia quando parliamo di una cosa non verbale, indicandola ("deissi"), come nel caso di "quello è un gat-to", sia quando usiamo un definiens verbale, "il gatto è un animale peloso e amichevole dalla lunga coda". In entrambi i casi, "è" rappresenta lo spostamento da un dono non verbale a un dono verbale. Avviene uno spostamento dal piano della realtà a quello verbale (passando attraverso l'elemento relativamente vuoto che prende il posto: "quello"); l'altro spostamento avviene dal piano della realtà al piano verbale, per poi passare nuovamente a un elemento più costante del piano verbale.

Le frasi combinano parole-dono collettive generali per soddisfare bisogni comunicativi contingenti e particolari. Ogni aspetto di una situazione o di un evento, preso singolarmente, può essere considerato in relazione a una parola-dono, il suo nome. Quando le parole vengono prese insieme in sequenza (ciò che i linguisti chiamano l'asse della "metonimia"), si combinano e collaborano l'una con l'altra (attraverso processi trasposti di dare e ricevere reciproci), particolarizzandosi a vicenda per soddisfare un bisogno comunicativo reale sorto dalla situazione di cui parlante e ascoltatore stanno parlando. Insieme, sono un modo transitorio e provvisorio di presentare alcuni elementi del mondo in quanto pertinenti, distinguendoli da altri elementi non pertinenti; forniscono una combinazione di parole con la quale gli elementi pertinenti sono in relazione, almeno per il momento2.

La relazione tra le parole e le cose, come anche la relazione concettuale di cui abbiamo parlato, avviene sul piano di ciò che i linguisti hanno chiamato l'asse della "metafora". In questo caso, i termini sono in relazione l'uno all'altro su diversi livelli sulla base di un'equivalen-za e della capacità di un elemento che sta su un certo livello di prendere il posto di altri su un altro livello. L'asse della metafora implica spesso la polarità uno-molti3. La metonimia e la metafora lavorano insieme nel discorso, come anche nelle definizioni. Sequenze di parole (metonimia), molte delle quali sono individualmente in relazione uno-molti con le cose per cui esse sono doni sostitutivi (metafora), vengono messe insieme secondo relazioni di dono trasposte. Fornire una parola come dono sostitutivo è già di per sé un tipo particolare di servizio.

Il verbo "essere" costituisce un'intersezione e un passaggio tra i due assi della metonimia (contiguità) e della metafora (sostituzione). Come dono sostitutivo dell'atto di sostituzione è una metafora, ma come sostituto posto accanto alle cose che indica (gli altri atti di sostituzione del dono nella frase) è contiguo e forma una successione metonimica. Come abbiamo visto sopra, una frase sul-l'asse della contiguità ripete le relazioni di dono che potrebbero aver luogo a un livello non verbale. La definizione è comunque diversa da altri tipi di frase, poiché è costruita secondo strati di sostituzione, per cui il definiens serve come frase (insieme di parole-dono) provvisoria per il tipo di cosa che viene definita e il definiendum prende poi il posto del definiens per l'ascoltatore come nome generale e costante per quel tipo di cosa. La definizione è un servizio che il parlante svolge per l'a-scoltatore, creando una relazione inclusiva e dando, momentaneamente, qualcosa (una parola-dono) che può durare per l'ascoltatore tutta la vita.

I connettivi logici (come "sia… che", "o… o" e "non") modificano il (sono dati al) verbo "essere", così da renderlo il dono sostitutivo dell'atto di sostituzione di due o più unità: "il gatto è sia un felino che un anima-le domestico" ; di una delle due unità: "un gatto è o un felino o un canino"; o di qualcos'altro rispetto all'unità menzionata: "Il gatto non è un canino" indica che il primo termine non soddisfa lo stesso bisogno comunicativo generale del secondo termine e, perciò, non può venire usato come suo sostituto. Il sillogismo "se… allora" ("Se tutte le A sono B e tutte le B sono C, allora tutte le A so-no C") indica che A, B e C sono doni sostitutivi della stessa "cosa". Il principio di sostituzione del dono, spostando i livelli, funziona tra il linguaggio e il mondo, come anche all'interno del linguaggio stesso nella definizione e su un meta livello con il verbo "essere" nella definizione. D'altra parte, quando usiamo il verbo "essere" per descrivere qualcosa nel mondo, come "il cane è marrone" usiamo "è" per "dare" o attribuire "marrone" a "cane". Il cane ha la "proprietà" o dono di essere marrone (che sia data dall'universo o dal pittore del cane, non fa differenza per il nostro discorso). Una trattazione esauriente di tutte le possibilità di interpretare il linguaggio in base al paradigma del dono, per quanto affascinante, renderebbe questo libro troppo lungo e accademico. Vorrei soltanto suggerire alcune possibilità per poter proseguire, alla loro luce, con il discorso sullo scambio delle merci col denaro.

La definizione è diversa dalle frasi del discorso in at-to, poiché ha più a che vedere con il processo di sostituzione del dono in sé e svolge una funzione di dono me-ta-linguistico, soddisfacendo il bisogno dell'ascoltatore di avere una parola che ancora non ha. Tuttavia, in un certo senso la definizione è stata per secoli svuotata dei suoi aspetti di pratica del dono dai filosofi e dai linguisti patriarcali, per i quali veniva vista in qualità di espressione delle relazioni asettiche e "oggettive" tra le parole4, invece che delle relazioni tra le persone. Queste relazioni oggettive tra le parole sono regolate da leggi di sintassi astratte simili alle leggi astratte che regolano la nostra società mascolata.

Possiamo restituire al linguaggio il principio del do-no, riconoscendo che i modelli di relazioni di dono tra le persone continuano nel linguaggio, e sono anche tradotte o spostate dal livello umano a quello verbale. Dal momento che la misoginia ci ha reso ciechi e ci ha impedito di riconoscere tali relazioni basate sul dono tra le persone, non abbiamo mai pensato di cercarle nel linguaggio. Abbiamo invece riconosciuto leggi astratte e arbitrarie simili a quelle che creiamo per regolamentare il comportamento mascolato nel patriarcato. Dovremmo chiederci se le nostre leggi non siano una sintassi usata per regolamentare l'auto-supremazia di ciascuna delle nostre parole (maschili) incarnate isolate, o se la nostra idea di sintassi non sia derivata dalle nostre regole di dominazione, autorità e obbedienza. Può anche sembrare che il verbo "essere" prosciughi la frase della pratica del dono così come la mascolazione prosciuga la società.

Credo in realtà che questa impressione derivi dal fat-to che il verbo "essere" viene associato alla definizione (che è in origine un processo benefico) dove il meccanismo di sostituzione viene usato internamente in modo diverso rispetto al flusso del discorso. La pratica del do-no nella definizione avviene tra le persone su un livello meta-linguistico attraverso la sostituzione di alcune parole con altre. Dal momento che tale processo è diverso dal resto del discorso, i suoi doni potrebbero non essere visibili, e la funzione di "prendere il posto " che ha il definiendum potrebbe apparire come un "difetto" del verbo "essere". Ma in realtà è l'uso primordiale della definizione nella mascolazione (i diversi livelli di sostituzione contribuiscono a produrre l'effetto "sala degli spec-chi") che viene trasferito al verbo "essere", dandogli una cattiva fama. Qualcuno alla General Semantics ha pensato di dover evitare il verbo "essere" e lo ha eliminato dal suo linguaggio5. Ma non è il verbo "essere" che è parassitario rispetto all'umanità, bensì la puer/patri/archia Fare ritorno al paradigma del dono nelle discipline economiche (come nel linguaggio) permetterà, tra le molte altre cose, di restituire al verbo "essere" la sua legittima posizione come parte della lingua materna.

L'essere e il denaro

Nella definizione succede la stessa cosa con "essere" che succede nell'attuale processo dello scambio per denaro, dove il denaro è un sostituto dell'atto di sostituzione del prodotto di un altro con il proprio e del proprio con quello di un altro. La sostituzione avviene anche se i prodotti in sé sono particolari, cioè non valgono come generali ma solo come equivalenti particolari e sostituti dei prodotti della persona con la quale avviene lo scam-bio. L'atto di sostituzione, inoltre, non è ancora completato quando il denaro è stato sostituito a esso. Come nel caso di "essere", il denaro forma una successione metonimica con ciò che indica, ma lo fa in realtà interrompendo quell'atto e ponendosi al centro di esso, respingendo il primo prodotto. Il denaro del compratore inizia spesso il processo nello stesso luogo del prodotto con il quale si sta scambiando (contiguo a esso) ma poi, muovendosi sull'asse della metafora, soppianta material-mente il prodotto del venditore, cambiando di mano.

La sostituzione del denaro per un prodotto precede la sostituzione del denaro per un altro prodotto, e un'in-versione di ruoli tra venditore e compratore. Dal momento che il denaro prende il posto di tutti i prodotti come loro equivalente generale, esso ha il carattere di generalità che i prodotti non hanno. Ogni qualvolta prende il loro posto, il denaro fornisce questo carattere di generalità e di collegamento con altri nella società, per quella transazione specifica; ogni volta che il denaro è dato via in cambio di altri prodotti, questo carattere di generalità e di collegamento è dato via dal compratore. La sostituzione dell'atto di scambio col denaro per l'atto di sostituzione diretto di un prodotto per un altro fa più

o meno la stessa cosa, nell'ambito economico, che il verbo "essere" fa nella definizione: crea un momento metonimico con ciò che ha sostituito (i prodotti); ma questo esige che gli esseri umani prendano parte alla "frase" come attori. Gli attori agiscono a turno nel loro ruolo di venditore e compratore e tale simmetria altera la successione metonimica, impedendo che si sviluppi in altri tipi di "frase", al di là della "definizione"6.

Coloro che scambiano possono comunque operare sul piano della sostituzione e comprare allo scopo di vendere, così da aumentare la quantità di equivalente generale che possiedono. L'asse linguistico della metonimia è ricreato in modo diverso sommando l'una all'altra unità simili quantitativamente e qualitativamente (una più una più una) nel sistema numerico mediante il quale il valore è valutato nel prezzo. Questo permette inoltre l'addizione di somme di denaro l'una all'altra, che con-sente l'accumulazione e lo sviluppo del capitale.

Giacché il denaro ha mantenuto le caratteristiche di dono materiale e di esemplare del concetto nell'ambito della proprietà privata, esso dovrà essere sostituito fisicamente per i prodotti e ricevuto o dato via al loro posto (asse della metafora). Quando il denaro è presente nelle mani di qualcuno, i prodotti non lo sono; quando questi sono presenti, il denaro non c'è. E in effetti dobbiamo portarlo con noi per poterlo dare ad altri, come sostituto dei loro prodotti. Il processo di sostituzione linguistica è tornato al punto di partenza: la parola è stata re-in-carnata. E lo scenario di Swift si è dimostrato valido (Non lo sapevamo, ma abbiamo il verbo "essere" che tintinna nelle nostre tasche). Credo che le ragioni del subconscio spesso influenzino i simboli, così come le parole che "atteschiscono" nella nostra cultura. Così, la somiglianza stupefacente tra il segno del dollaro $ e IS, "è", mi sembra sostenere l'identificazione tra il verbo "essere" e il denaro7.

Il denaro sostituisce il prodotto del venditore, e lo scambio col denaro sostituisce l'atto di sostituzione del suo prodotto, che avrà luogo nel momento in cui il venditore diventerà il compratore. Nel caso del baratto, il prodotto di ogni persona verrebbe sostituito con il prodotto di un'altra. Invece di ricevere direttamente il prodotto del compratore, il venditore riceve il suo sostituto nel prodotto artificiale, il denaro. Allo stesso tempo, questa sostituzione precede la successiva sostituzione da parte del successivo venditore. L'intero processo prende il posto del processo del baratto, che a sua volta prende il posto della pratica del dono. Lo scambio col denaro crea un lasso temporale nella successione metonimica dei momenti del baratto. Il denaro può essere scambiato per un prodotto e poi tenuto per giorni o per anni prima che venga scambiato per un altro prodotto. Esso riunisce l'interazione nei suoi diversi momenti creandosi un proprio spazio sociale, il mercato. Lo scambio pone i prodotti e la "parola" materiale che li definisce al di fuori del contesto (decontestualizzandoli fisicamente), così da enfatizzare l'aspetto decontestualizzato della definizione.

Dato che il denaro ha la caratteristica di essere una misura di valore, esso funziona anche come una parola in tal senso, sull'asse della "metafora" (sostituzione). Secondo la sua modalità definitoria, alla domanda "che cos'è?" risponde con un prezzo8. Il mercato può essere visto come lo spazio sociale nel quale i prodotti e i loro equivalenti generali sono presi fuori dal contesto perché siano definiti, valutati e scambiati. Questa coesistenza e spostamento su piani diversi, come anche l'uso di meccanismi verbali in ambiti non verbali, lascia posto per l'introduzione di variabili che non esisterebbero né con la pratica del dono né con il baratto.

Nel caso del baratto, il prodotto di una persona equivale a quello di un'altra; ma entrambi sono comunque prodotti individuali, e appartengono a una diade. Essi si sostituiscono soltanto l'uno con l'altro e sebbene questo dia loro reciprocamente una caratteristica comune in quanto sostituti, nessun concetto generale può essere formato al loro riguardo, poiché è necessaria una relazione uno-molti affinché ciò avvenga. In seguito l'intero processo di scambio col denaro prende il posto del baratto, così che viene messo in atto un tipo di processo di formazione del concetto riguardante quei due prodotti o qualsiasi prodotto individuale, espressione della loro caratteristica comune in quanto sostituti l'uno dell'altro ma anche legati a tutti gli altri prodotti e, perciò, con un valore generale.

A causa della scarsità e dell'esclusione reciproca della proprietà privata, coloro che scambiano vogliono soltanto scambiare unità equivalenti quantitativamente, perciò devono essere in grado di valutarle, di sapere "cosa sono" in termini di costo. Entra nuovamente in gioco la dialettica linguistica: ciò che esse sono "per gli altri" in generale nella società determina ciò che sono, il costo che avranno, anche per gli individui. Un bisogno sociale di questa valutazione (e dell'equivalente sostitutivo con il quale viene compiuta) comincia a esistere come bisogno comunicativo, come un elemento necessario alla comunicazione e al-l'interazione delle persone rispetto alla trasmissione (il dare) della loro proprietà privata dell'una all'altra.

Quindi sembra che abbiamo bisogno dell'equivalente sostitutivo in sé, il denaro, e non dei prodotti che esso sostituisce. Ciò che era un bisogno comunicativo linguistico è diventato un bisogno materiale sul piano economico. Questo è successo perché la proprietà privata altera la comunità donatrice, isolandoci l'uno dall'altro in quanto proprietari di beni. La nostra mancanza di comunicazione materiale crea una situazione simile a quella di coscienze isolate senza linguaggio; abbiamo perciò il bisogno comune di un mezzo di comunicazione, di stabilire e di modificare la nostra relazione l'uno con l'altro riguardo le cose, in questo caso la nostra proprietà privata. Questo mezzo di comunicazione è l'esem-plare materiale sostitutivo del dono, il denaro. Il valore di scambio è il valore del prodotto (la sua pertinenza) rispetto a una comunicazione materiale distorta (lo scam-bio) in una situazione di proprietà privata; è quantitativamente valutabile attraverso l'equivalente esemplare materiale e dono sostitutivo ($).

Dal punto di vista esterno di una terza persona estranea, la "proposizione" in cui il denaro è il verbo "essere" diventa completa per ripetizione (ad esempio, una camicia = venti dollari = cinque chili di fagioli). Da quel punto di vista, coloro che interagiscono stanno effettivamente soddisfacendo i bisogni l'uno dell'altro, per cui uno dà all'altro ciò che l'altro non ha e riceve dall'altro ciò di cui lui/lei ha bisogno. Il denaro è semplicemente un dono sostitutivo, dato dall'uno all'altro, che soddisfa il bisogno comunicativo che sorge ogni qualvolta si deve decidere che cosa ricevere dagli altri. Ma questa è certamente una visione ottimistica: in realtà, se il prodotto o il lavoro di una persona non può essere venduto, rimane fuori dal mercato (come se si trovasse oltre i confini del concetto) e non "esiste" nell'ambito dello scambio; non è sostituibile con un altro prodotto, e non vi sarà alcun atto di sostituzione da parte del verbo-denaro $ riguardo a esso. Se questo lavoro non ha valore per gli altri, il potere decisionale di chi lo svolge, quanto a ciò che riceverà per soddisfare il proprio bisogno, è completamente nullo; la sua domanda non è "effettiva"; il suo bisogno non "esiste", poiché la pratica del dono volta ai bisogni è stata anch'essa sostituita.

L'essere e la norma aberrante

Le funzioni similari del verbo "essere", il fallo e il denaro, suggeriscono un legame tra i diversi ambiti del linguaggio, della sessualità e dell'economia. È un legame di tipo "genetico", nel senso che la mascolazione fornisce la genesi del fallo e del denaro, come anche l'investitura fallica del verbo "essere"9. Se il padre non prendesse il posto della madre come esemplare, non ci sarebbe alcuna possibilità di sostituire questo atto di sostituzione (non ci sarebbe nessun atto di sostituzione da sostituire). La mascolazione non esisterebbe più per proiettare lo scambio nella società come propria modalità economica; così non esisterebbe il bisogno comunicativo di denaro, ed esso non avrebbe la funzione della parola. Lo stesso verbo "essere" non sarebbe ipostatizzato, poiché non verrebbe investito psicologicamente, per equivalenza, con il fallo. Quindi, mentre i legami possono effettivamente esistere, essi sono artificiali, perché la mascolazione stessa è un aspetto artificiale, superfluo e dannoso della socializzazione del bambino. Insieme, il fallo, il denaro e l'"essere" confermano una falsa immagine, o per dirla con altre parole, sono tutti "marche" della norma aberrante.

Forse il vero problema è la genitalizzazione fallica precoce che nei bambini prende il posto della fase orale; il pene, o fallo, prenderebbe il posto del seno come oggetto investito d'interesse. La "marca" del bambino gli "dà" un privilegio, poiché lo pone nella categoria "superiore" – in una collocazione condizionale "se X allora Y"

– mentre il seno della madre gli ha dato in modo diretto.L'erotizzazione del seno coincide con l'estraniazione del bambino nella categoria privilegiata non-nutrice. Così, non soltanto può sembrare che lui abbia ceduto il seno e abbia preso il pene, ma il processo del dono potrà venire identificato con le sensazioni interne di mangiare ed evacuare (che hanno a che fare con la fase orale), mentre il suo cambiamento di categoria ha a che fare con la genitalizzazione e il pene (una parte esterna del corpo). L'iden-tità di genere del bambino dipende da un'equazione polare con il padre (più grande), che si trova sempre nella posizione di equivalente ed è l'esemplare maggiore della genitalizzazione. Così, l'identificarsi del bambino in relazione a un equivalente polarizzato prende il sopravvento sulla pratica del dono, sul fare a turno e talvolta su una costruzione giocosa dell'identità con la madre. Qui la quantificazione comincia ad assumere importanza, poiché la quantità (la grandezza) del fallo può sembrare la ragione per cui il padre, e non il bambino, si trova nella posizione polarizzata dell'"uno". La quantità fallica sem-bra essere la qualità più importante10.

Comunicazione materiale quantitativa

Nello scambio non vengono date una parola o una valutazione qualitative, bensì una parola o una valutazione quantitative. Il denaro sul piano materiale fa la stessa cosa delle parole sul piano verbale. I prezzi esprimono in forma esplicita i bisogni comunicativi materiali sotto forma di quantità di denaro; vengono serviti da quantità di denaro materiale che assumono il ruolo di parole-come-doni. Il bisogno comunicativo che i prezzi esprimono è il bisogno di un mezzo di comunicazione che i venditori di quei prodotti non hanno. Il denaro è la parola, ma a differenza del linguaggio i "comunicatori" devono produrre (e in realtà cedere) le cose rappresentate dal denaro, per poterlo avere. Il denaro, come l'identità maschile, è una parola incarnata. Nel suo passaggio al piano materiale, è stato anch'esso piuttosto distorto, allontanato dalle funzioni originarie della parola. Come la parola, il suo unico uso reale sta nell'essere dato agli altri; ma il denaro può essere accaparrato e accumulato.

Dal momento che il denaro è il dono-sostituto gene-rale dell'atto di sostituzione, esso influenza ogni singolo atto di sostituzione (scambio) mettendolo in relazione con tutti gli altri. Il denaro è il materiale attraverso il quale i valori dei prodotti in relazione tra loro e con noi possono essere espressi quantitativamente. In quanto tale, esso è come il linguaggio, nel quale le parole sono disponibili per esprimere i valori qualitativi di tutte le par-ti del nostro mondo in relazione tra loro e con noi. Il denaro è un linguaggio (materiale) fatto di una singola parola11. Chi non ne ha non può "parlare"; non appartiene alla "specie", alla categoria di coloro che ce l'hanno12.

1 Forse "esistere" ha quasi lo stesso livello di generalità.

2 Nella definizione, una continua tensione o polarità tra ciò che viene detto e ciò che non viene detto, ciò che è presente come equivalente e ciò che è escluso, favorisce il prevalere degli elementi o argomenti pertinenti in quanto opposti a quelli che non hanno pertinenza o validità al momento. Dicendo "il gatto è un animale quadrupede", ad esempio, non ho bisogno di dire "il gatto non è un animale bipede" oppure "bipede non è quadrupede", poiché l'affer-mazione "quadrupede" esclude già di per sé "bipede". La selezione degli elementi rilevanti che avviene in modo graduale nel corso del processo di formazione del concetto (e più o meno deliberatamente nella definizione) è semplicemente sottinteso nell'uso di parole volte alla soddisfazione del bisogno comunicativo nel flusso del discorso degli adulti.

3 La metafora e la metonimia (sostituzione e combinazione) sono due poli della funzione del linguaggio riscontrabili anche nell'afasia (perdita della capacità di parlare o comprendere le parole) in un "disordine nella similarità" o "disordine nella contiguità" (Jakobson 1990a).

4 Dovremmo sospettare l'"oggettività" di essere una reificazione o esaltazione feticistica legata alla proprietà fallica e ai suoi corollari, dalle macchinette e i trenini giocattolo alle pistole e i missili. Il concetto d'identità maschile del bambino e la proprietà privata sono due relazioni concettuali trasposte tra le cose in quanto opposte a un'identità donatrice-e-ricevente ad hoc. Così la relazione concettuale tra le cose costituisce l'identità mascolata, e non la configurazione di soggettività costruite attraverso il dare e ricevere. Quando le cose che sono state private del loro carattere di dono sono proposte come "presenti" per essere "rappresentate", il legame basato sul dono tra i diversi livelli diventa invisibile. Il "presente" sembra non essere legato che al tempo, e non al dono. Forse l'aspetto temporale del "presente" deriva, tuttavia, dal fatto che la soddisfazione dei bisogni ci fa concentrare sul qui e ora.

5 To Be or Not: An E-Prime Anthology, 1992.

6 Nel baratto, lo scambio rimane una diade particolare, senza relazione con un equivalente generale. Il sistema del baratto fornisce diversi momenti di scam-bio diadico che richiedono calcoli di equivalenza in funzione del tempo o di qualche altro standard. È importante non confondere il baratto con la pratica del dono: il baratto è ancora dare-allo-scopo-di-ricevere, mentre la pratica del dono è diretta verso il bisogno dell'altro; le logiche sono distinte. I sistemi del baratto o di denaro alternativo che stanno sviluppando alcuni gruppi di Verdi e gruppi "bio-regionalisti" potrebbero essere considerati un passo verso un'econo-mia del dono; continuano tuttavia a basarsi sullo scambio, e portano quindi con sé i difetti dello scambio, come ad esempio il prendere-il-posto della pratica del dono. Voglio essere molto chiara sul fatto che la pratica del dono e il baratto non sono la stessa cosa. Abolire il denaro sarebbe come abolire il verbo "essere": non risolverebbe i problemi causati dalla mascolazione e dallo scambio.

7 Il denaro è in realtà un'icona delle parole, dal momento che tutte le monete o le banconote di un certo taglio vengono considerate la "stessa cosa", permettendo a "una cosa" di essere in diversi posti allo stesso tempo; è questo che permette al denaro di diventare generale come la parola.

8 Sia il mercato che il linguaggio sono modi di determinare se qualcosa è la "stessa cosa", con lo stesso valore per le persone interessate, che sia un va-lore linguistico_culturale o economico. Stabilire un prezzo è un processo collettivo simile all'attribuzione collettiva di valore che dà vita a un nome.

9 Secondo questo ragionamento, il fallo rap-presenta o prende il posto dell'atto di sostituzione della madre con il padre, e questo rende le sue funzioni analoghe a quelle del verbo "essere", con la caratteristica simbolica sociale generale che Lacan riteneva fosse normale. Jean-Joseph Goux (1973) ha molto da dire sul fallo e il denaro come equivalenti generali. Consiglio viva-mente il saggio di Goux per un approccio storico e psicoanalitico su molte delle questioni trattate qui, perlomeno quelle riguardanti lo scambio.

10 Jerry Fodor (1972) sostiene che l'idea del concetto di Vygotsky sia troppo filosofica, e critica la sua convinzione che il concetto richieda l'astra-zione di una "invariante sensoriale". Tuttavia abbiamo descritto una circostanza diffusa in cui la"marca" maschile è l'invariante sensoriale della categoria privilegiata, "astratta" dalle nostre pratiche di cura dei figli. Il denaro è l'invariante sensoriale per la categoria privilegiata delle persone che sono riuscite a essere "uni" nell'ambito economico.

11 Come dimostra Jerry Martien (1996), il wampum era un linguaggio materiale di molte parole. Non stupisce che gli europei avessero ridefinito il wampum in funzione del loro linguaggio materiale di una sola parola, il denaro.

12 È come se ci fosse stato un momento nella preistoria in cui chi sapeva parlare è entrato a far parte del gruppo, e chi invece non ne era in grado veniva lasciato morire, per una crudele strategia "evolutiva". Sembra che oggi stiamo imitando quel momento preistorico: coloro che "hanno" la parola so-no privilegiati e coloro che "non hanno" sembrano meritare la morte. A par-tire dai greci, per i quali chiunque non parlasse il greco era un "barbaro", si-no a coloro che oggi parlano altre lingue che non sia l'inglese standard, chi non possiede il linguaggio "esemplare" è escluso dalla categoria privilegiata.


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