Dando valore allo scambio si dà anche valore all'"esemplare" ideale del maschio mascolato capitalistico di successo in quanto opposto alla madre. Il dono del valore e quello della donatrice (la madre) rimangono imprigionati nel valore di scambio, perché danno valore al loro opposto e al non dare (e molte madri e figlie vengono letteralmente imprigionate dai mariti, i padri, i figli, i fratelli ecc.). Il dare del dare non è generalmente visibile in quanto tale, anche perché la visibilità è connessa al linguaggio e alla caratteristica della sostituzione, che fa parte del processo di scambio. Se lo scambio crollasse (o se cominciassimo a pensare al di fuori dell'opposizione binaria), potremmo apprezzare il valore del dare il dare, e il bisogno di esso, che dipende da una complessa situazione sociale diffusa, e non soltanto dal "meritare" che sembra provenire dall'auto-similarità e dalla partecipazione nel processo di scambio.
Per-donare
Lasciare che il denaro (come la parola) prenda il posto di un prodotto (o di una cosa) significa dire del prodotto: "ecco un dono, qualcosa che soddisfa il bisogno". Dal momento che la parola-denaro viene di fatto trasferita come proprietà da una persona a un'altra, entra nella logica anti-comunicativa del non-dono: "per me, dunque non per te; per te (o altri), dunque non per me". La nostra cultura identifica tuttavia questo processo anti-dono come un dono, come un processo utile socialmente, e gli dà il nome di "scambio", grazie al quale possiamo soddisfare il nostro bisogno comunicativo linguistico riguardo a es-so. Infatti ci impegniamo moltissimo nel processo discambio. È una cosa valida; soddisfa il nostro bisogno di una fonte dei beni in una situazione in cui i beni sono stati resi artificialmente inaccessibili, mantenendo la proprietà e abolendo la pratica del dono. Facendo in modo che l'accesso ai beni dipenda dalla produzione di altri beni di uguale valore e dalla loro valutazione e scambio, interrompiamo il processo di conferimento di valore della pratica del dono materiale e cancelliamo i legami e la comunità che esso avrebbe potuto produrre. Ci mettiamo in relazione con lo scambio come se fosse la fonte, la madre, mentre lo scambio è analogo alla mascolazione e perciò concomitante al processo che ha alienato il bambino (e il padre a suo tempo) dalla madre. Forse è per questo che le persone sentono di avere un legame così appassionante con lo scambio, con il mercato, il capitalismo e la stessa mascolazione; si legano a questi processi, perché i processi sembrano nutrirli, prendersi cura di loro.
Il "dono" dello scambio contraddice la pratica del dono. I bisogni che lo circondano sono i bisogni di una non-comunità, di gente che vive secondo le stesse relazioni "antagoniste" esistenti tra compratore e venditore. Anche se continuiamo a comunicare per mezzo del linguaggio e di altri segni, la nostra comunicazione materiale è diventata drasticamente alterata e contraddittoria, e di conseguenza i nostri atteggiamenti reciproci sono diventati di paura e risentimento.
Per-donare diventa una questione morale, mentre in realtà è soltanto la manifestazione psicologica del paradigma del dono. Quando perdoniamo rifiutiamo il rancore, la rappresaglia, la "misurazione" dei misfatti e gli altri riflessi psicologici dello scambio (ci rifiutiamo di cedere il dono per il non-dono; non cambiamo per lo scambio). Cerchiamo di capire le motivazioni degli altri in funzione dei loro bisogni non soddisfatti; e cerchiamo di capire le ragioni personali e sociali di quei bisogni, soddisfacendoli e cambiandone il contesto quando sia possibile, risolvendo i problemi. Rispostare il paradigma verso la pratica del dono è un modo di per-donare tutti.
È più o meno come se la parola "perdonare" stesse indicando il cammino verso uno spostamento del paradigma. La pratica del dono, infatti, non è qualcosa che facciamo a un'altra persona; è un cambiamento nei nostri valori, nel nostro stesso atteggiamento nei confronti della pratica del dono e lontano dalla colpa, dal rimprovero, dalla manipolazione e dalla punizione, che sono modi di mantenere e promuovere il paradigma dello scambio al livello psicologico. Modellando questa pratica diamo inoltre alla logica del dare un effetto moltiplicatore, perché gli altri possano infine vederla svelata e seguire il nostro esempio. Se potessimo cambiare il paradigma e mutare consapevolmente le nostre logiche di comportamento, demistificando e sminuendo collettivamente lo scambio e la rappresaglia, potremmo ottenere un effetto permanente. Dovremmo guardare al cambio di paradigma come a una soluzione pratica per tutti invece che soltanto come a una scelta morale. La struttura della moralità limita la portata del per-donare all'indivi-duo, mentre il bisogno di tutti i figli/e della Terra è di uno spostamento collettivo verso la Madre.
Sostenere la non-comunità aliena
Continuiamo a dover dare senza scambio ai bambini molto piccoli e a formare una comunità con loro, socializzandoli come esseri comunitari. La nostra comunicazione materiale più importante e diffusa con gli altri in generale, in quanto adulti, è tuttavia lo scambio. Abbiamo formato una non-comunità aliena nella quale i nostri figli devono cercare di adattarsi e sopravvivere.
La non-comunità di coloro che scambiano esige molti doni gratuiti: ha bisogno di lavoro-dono (plus-lavoro) per poter fornire la ricompensa del profitto, con la quale i capitalisti sono motivati a creare e a mantenere le imprese; ha bisogno del lavoro gratuito delle donne, che si prendono cura dei valori d'uso, danno ai lavoratori e riproducono la forza lavoro, incrementando il margine dei profitti; ha bisogno del dono della nostra fiducia, della nostra convinzione che sia un cammino percorribile e persino "giusto". Ma la non-comunità richiede anche che gli esseri umani continuino a praticare il dare anche al di là o a prescindere dallo scambio, non solo come comunicazione attraverso il linguaggio, ma anche attraverso tutti gli atti di benevolenza, amore, generosità, ospitalità e amicizia per i quali "vale la pena vivere".
L'esperienza estetica è, in larga misura, il ricevere creativamente un dono, anche se possedere un oggetto d'arte non è gratuito. Il pensiero non professionale coinvolto in ogni tipo di impresa o di attività è gratuito. Tal-volta i prodotti vengono portati gratuitamente sul mer-cato, e il trasporto dei compratori verso il mercato è a loro carico. I bisogni dei consumatori sono altamente influenzati dal loro prendersi cura l'uno dell'altro, in particolare attraverso le scelte delle donne (e uomini) che devono comprare i mezzi di sostentamento. Lo sviluppo di bisogni e desideri in sé avviene gratuitamente attraverso le pratiche di cura, anche se oggi risulta profondamente alterato dalla pubblicità.
Il dono del valore è dato non soltanto allo scambio, ma anche a un bisogno dell'ego antagonista sistematico (e strumentale, condizionato) di sapere o valutare quanto abbia dato una persona, analizzando la sua produzione in termini quantitativi rispetto a tutte le altre persone. Questa valutazione viene fatta apparentemente per restituire lo stesso ammontare che è stato dato, ma in realtà ha lo scopo di dare il potere a quello che giudica chi "merita" di avere accesso allo scambio, chi "merita" che gli altri gli diano doni, e chi alla fine "merita" essere l'uno privilegiato, l'esemplare. (Il privilegio e la generalità dell'esem-plare derivano dalla polarizzazione del processo del concetto nel quale l'esemplare stesso è immerso, e non sono dovuti al fatto che l'esemplare abbia dato più di altri). Nei nostri giudizi sul "meritare" viene dato un valore eccessivo all'equivalenza o alla corrispondenza tra cosa e parola, o tra prodotto e denaro, o tra lavoro e salario; e ai bisogni in quanto tali viene dato pochissimo valore.
Neanche le equazioni hanno valore in sé; a loro sono dati "valori", ma il loro valore proviene anche dall'ester-no. Abbiamo visto che nel nostro pensiero le equazioni prendono il posto che avrebbe dovuto avere il rapporto tra cose e bisogni, e noi le sopravvalutiamo per questo ruolo. Lo scambio non potrebbe esistere se non fosse inserito nella pratica del dono di molti tipi e su diversi livelli. Il "dono" del non-dare e la comunità aliena dei non-donatori sono possibili perché sono immersi in una comunità di donatori (e da essa nutriti).
Tra i doni che diamo al non-dare, consumati nei suoi stessi processi, vi è la nostra attenzione verso lo scambio e la nostra cecità nei confronti dei processi del dono. Noi non formiamo la nostra comunità riguardo la pratica del dono; i nostri bisogni comunicativi linguistici non sorgono riguardo a essa, perché in realtà la stiamo formando soprattutto sul modello dello scambio. Quindi, non comunichiamo granché sulla pratica del dono (questa ragione "funzionale" sostiene le motivazioni più misogine del nostro rifiuto della pratica del dono e ci aiuta a per-donarci per questo. Il senso di colpa, il biasimarsi, "il doverla pagare", confermano soltanto in modo più incisivo la logica dello scambio). Lo scambio ha preso il posto della comunicazione del dono materiale, così come la comunicazione con il linguaggio ha preso il posto della comunicazione materiale, così come gli uomini hanno preso il posto delle donne. Coloro che scambiano sono infatti relazionati l'uno all'altro in modo molto individualistico, e questo coincide perfettamente con l'im-magine ideale della mascolazione, quella del cacciatore solitario antagonista e individualista.
Tra i doni che vengono dati dalla comunità, che agisce ancora secondo la pratica del dono su un livello astratto, il più importante è il meta-dono del valore, che dirige altri doni e servizi. Noi apprezziamo il valore e lo attribuiamo all'arte, alla musica, alla letteratura, cose che attribuiscono a loro volta valore in modi complessi, belli e sorprendenti. Diamo valore ai doni del pittore o del romanziere, come anche quelli dell'orga-nizzatore politico, e persino il dono della parlantina del rappresentante. Essi convogliano la nostra attenzione in nuovi modi, modificando le nostre abituali attribuzioni di valore. Amiamo i doni della natura, della cultura, della storia, della scienza, che nel soddisfare i nostri bisogni attribuiscono valore anche a noi. Tuttavia, dan-do valore allo scambio e alle cose che appartengono al-la modalità di questo, continuiamo a permettergli di esistere, dirigendo verso di esso quasi tutti i nostri beni e servizi.
Un altro modo in cui il valore viene attribuito allo scambio, allo spostamento auto-similare verso la logica della sostituzione e a tutte le manifestazioni della mascolazione, è mediante la conferma per riflesso, per la loro affinità reciproca. Se non capiamo consapevolmente le sue cause ed effetti negativi, la ripetizione dello schema sembra dare valore alle sue diverse espressioni. Il modello stesso acquisisce un certo grado di autonomia e possiamo immaginarlo galleggiare nell'universo dando valore ad altre mascolazioni, dovunque esse si formino.
L'umanità, infatti, inscenando lo schema della mascolazione, dandogli ripetute manifestazioni, può farlo diventare "un tipo di cosa", una cosa che può quindi esse-re messa in relazione con una parola, alla quale possiamo cominciare a dare valore, e verso la quale possiamo rivolgere la nostra attenzione per la formazione dei concetti. Cerchiamo un esemplare e cerchiamo poi le caratteristiche comuni delle cose legate a esso in quanto simi-lari. Apprezziamo l'importanza dello schema e al tempo stesso gli attribuiamo importanza; ne parliamo e gli diamo un nome.
Ad esempio, lo chiamiamo "patriarcato". Denominandolo, lo mettiamo in relazione con una parola; cominciamo a trasformarlo facendogli "cedere il passo" alla parola che è il nostro dono l'uno per l'altro. Le donne si formano come comunità parlando del patriarcato, come sto facendo io in questo libro, e come fanno ovunque i movimenti progressisti e femministi, indicando i diversi tipi di oppressione e cercando d'individuare i loro collegamenti. Dobbiamo anche darci l'un l'altro/a: tempo, attenzione e cure, formando co-muni-tà materiali al di là dello scambio. Stiamo lavorando per trasformare la "realtà", e per far dono al futuro di una buona terra.
1 Questa
situazione è simile a quella in cui i conoscitori
danno valore gratuitamente al concetto, un valore che viene invece di solito percepito come proveniente dal concetto stesso o dalle cose incluse in esso.
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