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Capitolo terzo

La reciprocità

La logica del dare e quella dello scambio si contraddicono a vicenda, ma ciascuna di esse è anche costruita intorno all'altra. Lo scambio è un doppio dono forzato, in quanto chi riceve deve restituire a chi dona l'equivalente di ciò che ha ricevuto; il prodotto di una persona prende il posto del prodotto dell'altra. Io credo che questa esigenza di equivalenza e di scambio-di-posto sia un derivato della denominazione – in cui il dono verbale prende il posto del dono non verbale – e della definizione, per cui alcuni doni verbali prendono il posto di altri doni verba

li. Nello scambio, che opera sul piano materiale, un "do-no" di ritorno prende il posto del proprio dono, e sembrerebbe servire – come nel caso del dono sostitutivo verbale – a creare legami tra le persone che scambiano.

Comunque, la strada dell'inferno è lastricata di buone intenzioni, e l'acquisizione del "dono" di ritorno equivalente diventa la motivazione unica del primo "dono". Trasformare il processo del dono in uno scambio di equivalenti annulla l'orientamento verso l'altro da parte di entrambe le persone che scambiano, rendendo la loro uguaglianza soltanto un'equivalenza dei loro interessi personali. Lo scambio diventa una sorta di archetipo magnetico attorno alla quale si organizza la nostra società; il nostro pensiero gravita intorno a esso, dandogli moltissimo credito forse a causa della sua affinità con la denominazione e la definizione (processi linguisti che noi continuiamo a utilizzare). La pratica del dono prosegue inalterata, ma rimane invisibile e non riesce a diffondersi quale modello legittimato dall'adesione di persone consapevo

li. In effetti, il paradigma del dono cede il passo, non en-tra in competizione con il paradigma dello scambio; si trova così nella condizione di dare valore e di offrire molti doni allo scambio.

Lo scambio è auto-riflettente ed è perciò auto-convali-dante; ha una forma simmetrica e l'esigenza di equivalenza tra i prodotti sovverte l'attenzione sviandola dal bisogno dell'altro. Lo scambio si basa sull'interesse personale di entrambe le persone che scambiano e lo incoraggia, e perciò si crea un'equivalenza non soltanto tra i prodotti ma anche nella motivazione delle persone coinvolte.

In quanto esempi d'equivalenza, i due elementi risultano poi ancora uguali l'uno all'altro, e ha luogo così un effetto da sala degli specchi, sicché esso è di nuovo uguale in ogni altro scambio che avviene, ad esempio, sul mercato. I processi di sostituzione e di equivalenza nel linguaggio ripetono e confermano i processi nell'am-bito del mercato che ne derivano, dando alla sala degli specchi molti riflessi astratti.

Il bisogno astratto d'equazioni, che sorge in seguito al processo di scambio in funzione dell'interesse personale di ciascuna persona che scambia, acquisisce un'au-tonomia e una sorta d'esistenza propria. Qualsiasi cosa possa essere sostituita da un equivalente sembra diventare un valore (un valore di scambio), indipendentemente dal fatto che essa sia o meno diretta verso il bisogno di qualcuno. Ritengo che l'eccessiva importanza attribuita al pareggiamento, che porta anche a ignorare la pratica del dono, sia all'origine dell'idea che gran parte dell'attività umana non è diretta verso il bisogno. I bisogni astratti del processo di scambio non vengono considerati bisogni, ma sembrano far parte di una logica del "così stanno le cose". Soddisfarli diventa tuttavia più importante che soddisfare i bisogni umani, e il processo di scambio prende il sopravvento sulla pratica del dono, dando l'illusione di essere la fonte stessa dei valori "umani". Così prevale la categoria, inumana e disumana, della "domanda effettiva" su cui si basa il mercato.

Lo scambio esige un'equazione, equivalente ad altre equazioni sul mercato ed altrove; per questo esso porta con sé una sorta di meta-livello intrinseco che gli permette d'auto-diffondersi e di continuare a porsi in primo piano1. Allo stesso tempo, la pratica del dono (che ha soltanto bisogno di qualcuno che la imiti perché pos-sa servire da modello) viene spinta sullo sfondo e resa invisibile, nonostante continui a essere praticata in molti modi. In effetti, lo scambio è inserito in modo parassitario in un più ampio processo del donare che in sostanza dona al processo di scambio, permettendogli di continuare a prevalere; lo scambio stesso diviene l'"altro" rispetto alla pratica del dono.

La generalità della pratica del dono è catturata dal suo essere praticata sullo scambio e viene dunque ridefinita come inferiore o come uno scambio fallito; appare, così, come un caso speciale di scambio incompleto unilaterale che non può avere esistenza propria. In realtà la logica e la pratica dello scambio sono parassitarie rispetto alla logica e alla pratica del dono; i doni che ricevono permettono loro di dominare le vite e le visioni del mondo sia di chi pratica lo scambio che di chi pratica il dono.

C'è un flusso verso l'alto di doni, contro la legge di gravità, diretto verso le posizioni più alte nelle gerarchie patriarcali e che si allontana dai bisogni. La compresenza di molte di queste gerarchie di doni-scambio, che si sostengono a vicenda grazie alla loro affinità e talvolta al reciproco servizio, viene chiamata "riproduzione sociale". La sala degli specchi crea molteplici immagini della stessa struttura – e così dà ancora una volta l'illusione di essere simile al linguaggio – ma noi siamo indotti dall'equazione riflettente a lasciare che la nostra comprensione del mondo prenda l'avvio dalla propagazione di simili immagini uno-molti invece che dall'aspetto del linguaggio rispondente al dono.

È forse a causa di simili strutture presenti su diversi livelli che il paradigma parassitico dello scambio viene elevato al livello di un sistema che si auto-perpetua, con una "mente" propria. Tali processi sono funzionali nella formazione delle nostre menti individuali, nei rapporti conscio/subconscio ad esempio e, forse, essi formano anche gli stessi modelli su una scala sociale più ampia.

L'auto-perpetuarsi è facilitato dalla conferma che si crea ritrovando o generando delle immagini auto-similari su diversi piani. Tali affinità tra strutture patriarcali su diversi livelli non mi sembrano analogie, isomorfismi storici o omologie, bensì modelli sociali auto-similari generati da feedback reciproci della forma della definizione sulla definizione di genere (e viceversa, della definizione di genere sulla forma della definizione) su diversi livelli.

Figura 1. Una figura frattale è il risultato della retroazione dei risultati di un'equazione sulla stessa equazione ripetuta milioni di volte. Copyright; Clifford Pickover: ristampa grafica autorizzata. Da Pickover 1996.

L'idea di auto-similarita fu sviluppata da Benoit Mandelbrot con lo studio della geometria frattale, nella quale il matematico scoprì che un'entità ripeteva la stessa struttura di partenza su diversi livelli dimensionali, o su "scala" diversa. Un tipico esempio è rappresentato dal cavolfiore: tutti i fiori e ciascuna parte d'o-gni fiore sono uguali alla testa della pianta nel suo insieme2.

Credo che nella società avvenga la stessa cosa, in ciò che chiamiamo "strutture sociali". Nei frattali, i modelli vengono creati rinviando il risultato di un'equa-zione alla stessa equazione milioni di volte; al livello sociale, facciamo la stessa cosa: riportiamo all'infinito la definizione di genere e le caratteristiche "maschili", che ne risultano, sulla struttura di altre definizioni, e in questo modo creiamo alla fine gli stessi modelli su diversi livelli.

La reciprocità è scambio o fare a turno?

L'homo economicus, protagonista dell'economia neoclassica, è fatto a immagine e somiglianza dello scam-bio. Noi educhiamo i nostri figli a essere unità simili di mascolinità e a competere poi l'uno con l'altro per la superiorità economica e simbolica; educhiamo le nostre figlie ad alimentare questo processo e a crescere i loro figli/e secondo queste immagini. Ciò comporta che nella società del "libero mercato" (un ossimoro) vi siano più maschi dediti alla pratica dello scambio e più femmine ancora dedite alla pratica del dono.

I nostri sistemi economici si basano sullo scambio e gli studi che facciamo di questi sistemi, le dottrine economiche, si basano anch'esse sullo scambio. Il capitalismo stesso pratica i valori della mascolinità e la mascolinità i valori del capitalismo. Dal momento che si tratta di ruoli sociali, questi valori possono essere praticati anche da persone dell'altro sesso biologico; ma tale possibilità può comportare maggiori difficoltà, poiché l'interpreta-zione sociale di genere crea molti impedimenti al successo di uno dei due generi in settori generalmente occupati dall'altro. Uno di questi settori è rappresentato dall'eco-nomia, la disciplina accademica che studia il capitalismo.

Lo studio della produzione e della distribuzione dei beni nella nostra società si basa sullo scambio auto-con-validante, ed è orientato verso di esso, perciò non considera "economica" la pratica del dono; eppure il donare è produzione e distribuzione di beni. La microeconomia di un sistema macro-economico diverso (basato sul do-no) avviene in tutte le famiglie; il lavoro-dono che praticano le donne, non monetizzato, è rimasto invisibile agli economisti fino a non molto tempo fa, poiché coloro che praticavano i valori dello scambio erano gli unici a studiare tale realtà.

Oggi alcune donne economiste, che come altre donne sono state socializzate alle pratiche materne e del dono, cominciano ad applicarne i valori allo studio dello scambio e alla propria professione e cominciano a fare esperienza di una salutare dissonanza cognitiva. Esse non hanno però ancora cominciato a mettere in questione la validità del paradigma dello scambio in sé come prospettiva generale del mondo, forse perché operano ancora, con più o meno successo, al suo interno3.

È più semplice per chi sta, almeno in parte, al di fuori della logica dello scambio, individuare e promuovere la pratica del dono come un paradigma non soltanto socialmente rilevante, ma che rappresenta la soluzione ai problemi causati dallo scambio. Questa "avanguardia rivoluzionaria" comprende non soltanto le donne, madri e casalinghe (che pratichino o meno lavoro monetizzato), ma chiunque non profitti dallo scambio e stia invece inconsapevolmente donando a esso: gli uomini e le donne "ospiti" del parassita.

La maggior parte di noi è ancora all'oscuro rispetto alla pratica del dono a causa dell'interiorizzazione della logica auto-riflettente dello scambio. Anche nei momenti in cui svolgiamo la pratica del dono non la "riconosciamo", non pensiamo a essa a un meta-livello né abbiamo un meta-linguaggio con il quale parlarne. Continuiamo a pensare in funzione dei valori dello scambio alla nostra cultura e ai casi di pratica del dono istituzionalizzati in altre culture.

Una scuola di pensiero sorta recentemente in Fran-cia, che s'ispira all'opera dell'antropologo Marcel Mauss, dedica molta attenzione alla pratica del dono che vede composta di tre momenti: dare, ricevere e restituire4. L'accento che questa scuola pone sulla reciprocità nasconde la natura comunicativa del semplice dona-re e ricevere senza reciprocità e non permette a questo gruppo di distinguere chiaramente la pratica del dono e quella dello scambio come due paradigmi opposti.

A questi sociologi sembra che la pratica del dono sia soltanto una variante dello scambio, con tempi più lunghi di restituzione e una minore attenzione all'egua-glianza; i legami sembrano ancora sorgere da una reciprocità forzata, invece che dalla soddisfazione diretta dei bisogni. Come accade per la maggior parte degli uomini, il pensiero di questi studiosi ha dei limiti, poiché essi non sono stati socializzati all'esperienza adulta di creare legami direttamente attraverso la pratica materna. La pratica del dono è per loro una semplice curiosità e non una logica di vita basata sulla madre, né un programma di cambiamento sociale5.

Verso la fine degli anni Cinquanta, la descrizione del-l'antropologo francese Lévi-Strauss (1958) dello "scambio di donne" tra i gruppi familiari ispirò nuove speculazioni di antropologi, psicoanalisti, linguisti e studiosi di semiotica sul sistema dello scambio. Dal punto di vista del paradigma del dono, le donne sono esse stesse le fonti delle pratiche di cura, così che il "donare" delle donne è un dono di donatrici: un meta-dono. Lo scam-bio (se è forzato e visto attraverso il nostro sguardo capitalista) o l'avvicendamento (se non lo è) ha un contenuto che, nel caso discusso da Lévi-Strauss, è la donna, che è la fonte del donare.

È il dare e ricevere, e non la costrizione della reciprocità, che crea i legami di base. L'interazione di praticare e ricevere cure (o dare e ricevere le curatrici!) è il fattore vicendevolmente creativo, non l'imposizione o l'osservanza delle leggi, né l'equivalenza dello scambio, né la costrizione della reciprocità. Nelle società in cui lo scambio incide meno profondamente rispetto alla nostra, le pratiche del dono (i cicli del dono) svolgono funzioni definitorie, in quanto definiscono le relazioni tra i membri del gruppo. Potremmo considerare queste pratiche come discendenti del linguaggio, di diversa stirpe rispetto allo scambio ma che invece utilizzano il dare e ricevere doni – la co-muni-cazione – per creare una funzione di status (v. Fig. 2).

Le donne sono l'avanguardia

Lewis Hyde (1979), Jerry Martien (1996) e altri scrittori che si sono interessati allo "scambio" di doni hanno scritto opere che re-interpretano la letteratura storica e antropologica, riscattando almeno in parte l'idea di do-no dalle costrizioni del capitalismo. Forse perché non hanno avuto l'esperienza della pratica materna, essi tendono a vedere il modello del dono come una cosa poetica del passato, che è stata dimenticata, emarginata e sotterrata – così come la loro esperienza personale del modello del dono (con le loro madri quando erano bambini) è stata sotterrata ma continua a rimanere nell'incon-

Figura 2. Una possibile genealogia della co-muni-cazione attraverso doni, linguaggio e scambio.

scio, nei miti e nelle fiabe. Continuare a vedere la pratica del dono secondo il modello della reciprocità (cioè dello scambio) mantiene il discorso entro i parametri dello status quo patriarcale.

Noi donne possiamo riconoscere più facilmente la presenza della pratica del dono in ogni cosa, poiché ne abbiamo un esempio concreto derivante dalla pratica del nostro ruolo sociale da adulte (per quanto esso pos-sa essere socialmente squalificato e svalutato). È per questo che le donne sono l'avanguardia, le portatrici della pratica del dono come programma sociale, come modo di organizzare la società odierna e futura.

L'assenza di una teoria del linguaggio come pratica del dono rende più difficile la comprensione del donare come un principio di vita. Tuttavia, il discorso del denaro come "dono" e del wampum come "parole" e "atti del discorso" proposto da Martien è un ponte tra il linguaggio e il dono materiale (quale era il wampum stesso). Martien ci permette di concepire il wampum come un mezzo di comunicazione materiale (interpretato dai colonizzatori europei soltanto come un tipo di denaro "primitivo"). Le collane di conchiglie venivano inviate di luogo in luogo per definire specifiche situazioni e soddisfare particolari bisogni di legami, attenzioni e cure. Ad esempio, venivano mandate collane speciali a chi era in lutto, per soddisfare il bisogno di essere consolati; le conchiglie venivano offerte per suggellare accordi e mantenere promesse tra i gruppi sociali. Il wampum sembrerebbe essere una sorta di linguaggio materiale composto di diverse parole, che andava oltre la definizione in sé per creare solidarietà e inclusione mutua, mentre il denaro rimane allo stadio in cui ogni cosa viene nominata quantitativamente per favorire relazioni umane più "primitive" di esclusione mutua, di chi ha o non ha proprietà privata.

Nel corso nella nostra vita, così come nello studio di altre culture, sorge l'interrogativo se sia possibile seguire e affermare in modo chiaro un determinato modello di pratica del dono oppure se ogni transazione, puntando l'attenzione sulla restituzione, non venga assimilata comunque dal modello dello scambio. In realtà è una questione d'intersezione di due logiche distinte, ma viene spesso letta come una questione morale (ci domandiamo, "sta realmente compiendo un atto di altruismo, op-pure non è altro che uno scambio occulto?"), tutto ciò non fa altro che offuscare l'immagine e ci fa talvolta pagare lo scotto del nostro atto d'amore con vergogna.

Commentiamo amaramente: "nessuna buona azione rimarrà impunita". L'interesse personale sembra essere la motivazione di base di ogni essere umano, e la scarsità il suo complemento naturale. Il bene complessivo viene identificato, con Adam Smith, nell'aggregato degli interessi egoistici di ciascuno, mentre l'orientamento verso l'altro sembra poco realistico e auto-sacrificale. La reciprocità è un modo per continuare a sostenere l'interesse personale di entrambe le parti coinvolte nell'interazione.

L'usanza di restituire un po' più di quello che si è ricevuto è un modo per affermare il modello del dono, anche quando, per la reciprocità, si corre il rischio che venga percepito come uno scambio. Ma anche questo processo è stato assimilato allo scambio, come interesse sui prestiti: chi presta il proprio denaro lo fa con l'aspettati-va del dono extra di interessi che riceverà (questo tipo di scambio è divenuto ormai la norma, a tal punto che un prestito senza interessi viene considerato un dono).

Gli antropologi, come tutti noi nell'ambito del patriarcato, hanno delle difficoltà a vedere oltre il riflesso degli specchi del paradigma dello scambio; così parlano di "scambio di doni", confondendo in partenza i due modelli. La pratica del dono appare ancora una volta come una versione sottosviluppata dello scambio, invece che un metodo diverso e più vivibile di organizzare la società. Nelle società cosiddette "primitive" il donare ha spesso una funzione simbolica. Ritengo che sia perché, a imitazione del linguaggio, come abbiamo visto nel caso del wampum, i doni sostitutivi materiali speciali (come i doni sostitutivi verbali) vengono dati secondo schemi predisposti allo scopo di creare specifici legami tra chi dona e chi riceve.

In altre parole, sia lo scambio tra merci e denaro sia lo "scambio di doni simbolici" sono variazioni sul tema della comunicazione; sono due usi alternativi di modelli intrecciati tra loro. In effetti, sia il linguaggio che la produzione e la distribuzione di beni materiali si trovano in tutte le società e hanno coabitato per millenni. Le società hanno imparato a impiegare i propri processi in modi diversi per creare nuovi processi di comunicazione.

Il linguaggio è una seconda economia del dono (ver-bale), mentre definizione e denominazione sono speciali processi decontestualizzati del linguaggio. Questi processi decontestualizzati si evolvono nello scambio quando vengono trasposti sul piano materiale, quando le per-sone sostituiscono un prodotto con un altro e li equiparano quantitativamente.

L'introduzione del denaro fornisce un "equivalente generale", un singolo dono sostitutivo (come la parola) in cui i valori di tutti i prodotti sul mercato possono es-sere espressi e valutati. Il denaro fornisce un elemento astratto aggiuntivo nel processo di scambio, ma non altera la sua logica di base. Perciò il baratto non è una soluzione ai problemi causati dallo scambio; è invece sol-tanto un esempio della stessa logica, ma senza il denaro. Se consideriamo la distinzione tra scambio e pratica del dono come uno spartiacque tra due paradigmi basilari delle interazioni umane, possiamo chiarire diverse problematiche apparentemente non connesse tra loro.

I molti doni

Possiamo interpretare molti degli aspetti irrazionali e nocivi del capitalismo patriarcale come il punto di contatto tra i due paradigmi. Il plusvalore – quella parte di manodopera che non è pagata e che va a costituire il profitto del capitalista – può essere considerato un dono, dietro coercizione, del lavoratore al capitalista. La tendenza a pagare le donne meno degli uomini per lo stesso lavoro può essere interpretata come un tentativo di mantenerle in una posizione volta a donare, rafforzando la pratica del modello del dono invisibile e obbligandole a dare ancor più lavoro (dono) non pagato dei colleghi uomini. A causa dell'equivalenza dello scambio e del valore che gli attribuiamo (gli doniamo), tendiamo a dare credito al mercato come "giusto" anche qualora esso ci stia danneggiando (mio padre sa ciò che è meglio per me).

È stato calcolato che il lavoro non retribuito svolto dal-le donne in casa aggiungerebbe almeno il 40 per cento del prodotto nazionale lordo se fosse monetizzato; questo è uno degli esempi più lampanti di lavoro-dono. Consideriamo poi i doni che arrivano ai ricchi dai poveri, al Nord dal Sud, alle economie basate sullo scambio dalle economie che sono ancora in una certa misura basate sul dono. I diversi tassi di scambio, livelli di vita e di autosufficienza dei paesi "in via di sviluppo" fanno sì che da questi provenga un flusso di doni diretto ai cosiddetti paesi "sviluppati".

Non soltanto questo flusso non viene riconosciuto come tale, ma viene anche letto nel verso opposto: il Nord sembra così offrire prestiti, assistenza materiale, informazione, tecnologia, mercati, protezione e persino una "influenza civilizzatrice" al Sud, mentre questo vie-ne svuotato e paralizzato nel tentare di restituire quel "di più", ossia l'interesse su ciò che gli è stato "dato" mentre in realtà è servito soltanto a stimolare ulteriori doni nascosti che prosciugano i suoi capitali.

Ad esempio, l'abbassamento del tenore di vita nei paesi del Terzo Mondo è funzionale al Primo Mondo in quanto fa abbassare il costo del lavoro – trasformando il differenziale del basso costo del lavoro e delle materie prime in doni collettivi dai molti del Sud attraverso i po-chi nel Sud verso i pochi al Nord. L'uso manipolatore della pratica del dono allo scopo di trarre profitti (facendone leva per prendere altri doni) è di per sé uno scambio. Tuttavia, interpretare la pratica del dono come fosse lo scambio e il profitto come cosa "meritata" confonde i due paradigmi, e non è soltanto una tendenza accademica; è una prospettiva molto diffusa che fa parte della pratica di sfruttamento e la sostiene.

I molti esempi di vera e propria schiavitù che hanno avvelenato la storia dell'umanità sono la prova della tendenza a porre gruppi di persone, attraverso la "proprietà" su di essi, nella condizione obbligata di praticare doni. Anche le donne di ogni razza e cultura si sono ritrovate spesso in questo tipo di situazione rispetto ai propri mariti, che gli appartenessero o meno come loro "proprietà". Perché si accumuli capitale, i doni in eccedenza devono pur venire da qualche parte. Ad esempio, la schiavitù, benché sia costata un'immensa sofferenza, ha fornito quell'eccedenza "gratuitamente" ai "proprietari" degli schiavi nel Sud degli Stati Uniti.

Lo scambio fornisce però anche un meccanismo di accumulazione efficace, occultando i doni che riceve dietro la facciata di un'equazione che appare "giusta" e di una transazione che sembra il risultato di una "libera scelta" (trascurando il fatto che la mancanza di alternative riduca spesso i poveri a una condizione analoga alla schiavitù). Il capitale può essere visto come l'insieme di doni dei molti catturati dallo scambio e considerati, secondo i parametri auto-riflettenti di questo, il giusto profitto risultante da un investimento. Lo scambio equo non produce profitto e a tale scopo è necessario il lavoro-dono6.

Il lavoro-dono è facile da nascondere perché, come abbiamo visto nel discorso sul linguaggio, il donare è transitivo: se A dà a B e B dà a C, allora A dà a C; perciò, se una moglie offre la propria manodopera gratuita al marito e questo dà il proprio pluslavoro al capitalista, il lavoro della moglie passa transitivamente al capitalista attraverso il marito. Il dono è invisibile anche perché distogliamo l'attenzione dalla fonte originaria; tuttalpiù vediamo B che dà a C. Ciò che risulta maggiormente evidente è comunque il cosiddetto scambio "equo" tra B e C, in cui il capitalista paga al lavoratore uno stipendio determinato dal costo sul mercato di quel tipo di lavoro.

Concentrandosi sul salario quale "giusto" costo del lavoro, la nostra attenzione viene distolta dalla pratica del dono, quantificabile e non quantificabile che avviene nello stesso momento. Lo scambio si convalida da sé e si combina con gli altri scambi che avvengono nel mercato; galleggia come una schiuma sul mare dei doni nascosti, donati dalle donne, dagli operai, dai non retribuiti, dai sottopagati, dai poveri, dai disoccupati (che con la loro domanda di posti di lavoro mantengono basso il "giusto" costo del lavoro) e tutti gli appartenenti alle classi sociali e ai paesi che si trovano nella posizione di dover donare a classi e a paesi privilegiati.

Vi sono poi i molti doni dei consumatori, che pagano troppo cari alcuni prodotti il cui costo di produzione è relativamente basso, quali la benzina, ma che risultano molto utili per le persone i cui bisogni sono determinati dalle industrie del trasporto. Vi sono i doni del passato, in cui il plusvalore è rappresentato dal "capitale fisso" ma anche dai doni gratuiti (soprattutto delle donne) nella manutenzione di edifici, beni, valori d'uso e persone delle generazioni precedenti – i loro figli/e, il loro linguaggio, la loro arte, cultura e i sottoprodotti delle loro vite. C'è un grosso flusso di doni non riconosciuti che scorre dal passato al presente, così come da individui di gruppi e paesi che sono nella condizione di donare verso gli individui e i paesi che sono nella condizione di prendere.

Ci sono poi i doni della natura, pronti per il nostro uso: l'aria, l'acqua e la luce del sole, che siamo nella condizione – resa possibile dall'evoluzione – di ricevere creativamente, ma che cominciano a inquinarsi e a scarseggiare perché vengono privatizzati o consumati di nascosto, sperperati, allo scopo di tagliare i costi (offrire doni) al servizio del paradigma dello scambio. Questo inquinamento costringe le generazioni future a consegnarci il loro potenziale utilizzo dei doni della natura, perché noi possiamo trarne un rapido profitto. Stiamo bloccando il flusso di doni che scorre verso il futuro. Nuovi generi di commercio invadono le aree del dono e se ne appropriano, dai ristoranti fast food alle lavanderie automatiche. L'eredità di tutti viene commercializzata dall'industria della biogenetica, arrivando a trasformare persino i doni gratuiti biologici dei molti nel profitto dei pochi.

1 Un meta-linguaggio è un linguaggio che parla del linguaggio. Termini quale "sostantivo" o "frase" sono parte del meta-linguaggio della grammatica. L'effetto "sala degli specchi" generato dallo scambio fa sì che tutte le altre equazioni e strutture riflettenti all'interno della società legittimino lo scam-bio. A causa della loro affinità a esso, sembrano dire "Questo è normale!". La tendenza auto-riflettente distorce la nostra prospettiva dando eccessiva importanza al processo di scambio e decontestualizzandolo, togliendolo dal suo contesto, dal suo "altro" nella pratica del dono. In Principia Mathematica, Bertrand Russell discute la sua teoria dei tipi logici, secondo cui alcuni livelli logici "superiori" sarebbero di tipo diverso rispetto ai livelli sottostanti; ad esempio la classe di tutte le classi è una meta-classe su un livello logico superiore a quello dei membri che la compongono. I meta-messaggi sono messaggi che parlano di messaggi e ci dicono come interpretarli. Io credo che l'effet-to sala degli specchi crei molti meta-messaggi che mantengono la nostra attenzione focalizzata sul processo di scambio. Bateson (1972) discute sulla possibilità di curare la dissociazione schizofrenica (i "doppi legami") modificando i meta-messaggi. Io credo che la dissociazione sia provocata da motivazioni e processi di scambio occulti, sul meta-livello. Riconoscere la pratica del dono come il contesto più largo in cui lo scambio e la classificazione sono inseriti potrebbe portarci a ripensare l'economia e la logica, convalidando la pratica del dono e riacquistando la salute mentale.

2 Per un'altra utile spiegazione della geometria frattale e dell'auto-simili-tudine, v. Gleick 1987.

3 International Association for Feminist Economics (IAFFE) (Associazione internazionale per l'economia femminista).

4 Cfr., ad esempio, il lavoro di Alain Caillé, Jacques Godbout, Serge La-touche e la rivista «MAUSS», acronimo per Mouvement anti-utilitariste des sciences sociales.

5 In un'importante prefazione alla riedizione di Marcel Mauss, The Gift (1990), Mary Douglass discute dello scambio, o reciprocità, come elemento del dono che crea legami. Parla della propria esperienza in una fondazione, dove ha appreso che "il destinatario del dono non ama il donatore, a prescindere da quanto sia volonteroso". Douglass ritiene che non si dovrebbero offrire doni gratuiti, poiché "rifiutare di essere contraccambiati pone l'atto del donare al di fuori di qualsiasi legame mutuo" (p. VII). Le donne possono an-ch'esse rimanere ipnotizzate dal paradigma dello scambio e pensare così che la reciprocità e non la soddisfazione dei bisogni, sia la fonte delle relazioni umane. Vorrei solo accennare al fatto che in un contesto basato sullo scam-bio, il dono gratuito provoca disagi psicologici e gli atti di carità sono dati spesso in modo paternalistico, umiliando i riceventi. Altro motivo per cui i destinatari potrebbero non amare il donatore "volonteroso" della Douglass.

6 Weatherford (1988) discute dell'impatto che l'oro e l'argento delle Americhe hanno avuto sul capitalismo europeo, insieme agli altri innumerevoli doni, non riconosciuti come tali, che le popolazioni native hanno dato al resto del mondo.


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