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Genevieve Vaughan, Per-donare - Una critica femminista dello scambio, Meltemi, Roma 2005
di Alessandra De Perini
“Per-donare-Una critica femminista dello scambio” è il titolo di un ampio saggio scritto da Genevieve Vaughan, teorica femminista statunitense che si occupa di semiotica, critica del capitalismo e del marxismo, di comunicazione, logiche di mercato e dello scambio.
“Il libro che avete nelle mani è un dono dall’autrice al lettore, da una donna al movimento delle donne (e agli uomini di coscienza), in tutto il mondo” - così inizia la prefazione a cura della poetessa femminista Robin Morgan. In un certo senso, ogni lavoro di autentica teoria femminista potrebbe rientrare in questa categoria, continua la Morgan, secondo la quale il libro di Genevieve Vaughan è unico, un lavoro appassionato che sfida la mente e simultaneamente riscalda lo spirito, invitando le lettrici e i lettori a far uscire dall’armadio l’altruismo, per farlo correre in strada in modo rinfrescante. Non c’è bisogno di conoscere la semiotica o altre discipline accademiche per apprezzare il testo, sostiene ancora la Morgan: l’autrice di “Per-donare” considera infatti sospetto ogni sistema accademico, destabilizza allegramente concetti come “decostruzionismo” e “postmodernismo” e si rivolge al grande pubblico per indicare una via di uscita dal rigido dualismo di categorie come “altruismo” ed “egoismo”, mostrando con esempi tratti da tutto il mondo il potere straordinario del dare: dare alla luce, dare nutrimento, dare tempo, dare cure e attenzione, destinare danaro e impegno ai progetti per il cambiamento individuale e sociale, praticare il paradigma del dono a vari livelli, in maniera visibile, riconoscibile, perché tali pratiche si estendano.
La lettura di questo libro rende stranamente felici, perché si colloca al di sopra dello “spirito mortalmente sfruttatorio e intensamente avaro del patriarcato” e punta sulla capacità umana di trasformazione, sulla pratica del dono come principio di vita, come atto simbolico che crea legami profondi.
Chi sa cosa vuol dire essere innamorate, innamorati riconosce nel testo quel senso di abbondanza e di partecipazione alla quotidiana miracolosità che opera per la trasformazione del proprio sé, insieme alla trasformazione dei rapporti sociali. Il libro vuol essere uno strumento per questo compito.
I lettori maschi vi troveranno una teoria che non incolpa semplicisticamente gli uomini e tuttavia non si sottrae ad una critica radicale al patriarcato.
La pratica del dono, fondamentale categoria interpretativa della vita sociale ed economica, è stata giudicata dall’economia ufficiale una forma di scambio pre-capitalistica, screditata perfino da quegli studiosi e antropologi che hanno studiato la logica del dono nelle società indigene, senza però legarla alle pratiche di cura dell’amore materno (1).
L’autrice intende con il suo libro reinserire la pratica del dono, profondamente connessa all’infanzia, nello studio dell’economia, del linguaggio, nell’educazione e nella comunicazione.
La scarsità voluta dal mercato per escludere altre possibilità di scambio rende però molto difficile la pratica del dono. Lo scambio capitalistico è infatti l’opposto del dono, funziona sul non donare. Per questa ragione non vediamo il dono che sottende sia al mercato che alla vita stessa.
L’economia nascosta del dono si identifica innanzitutto con il sesso femminile, perché sono le donne che più degli uomini la praticano, soprattutto come madri, dal momento che i bambini piccoli sono incapaci di scambiare qualcosa per costringere gli altri a soddisfare i loro bisogni.
Vent’anni fa alcune femministe hanno rivelato la grande quantità di lavoro non retribuito che fanno le donne in casa. Se una moglie offre la propria manodopera gratuitamente al marito e questo dà il proprio pluslavoro al capitalista, il lavoro della moglie passa transitivamente al capitalista attraverso il marito. Il dono è invisibile. Il lavoro-dono che praticano le donne è rimasto invisibile agli economisti fino a non molto tempo fa.
Se monetizzato, quel lavoro gratuito avrebbe aggiunto il 40 per cento al prodotto nazionale lordo degli Stati Uniti. La risposta più giusta, secondo la Vaughan, non è la pretesa che il lavoro domestico sia pagato, ma l’assunzione di questo lavoro come un tipo di economia diverso, un’altra modalità di distribuzione e di produzione che esiste nella vita individuale e sociale in modo occultato, come lo sono i beni comuni non ancora mercificati: l’acqua, l’aria, le tradizioni del sapere comune. La globalizzazione oggi privatizza, assimila al mercato, trasforma in merci queste aree di doni comuni, impedendo loro di far parte del mondo non monetizzato che soddisfa i bisogni gratis.
L’aver cura dell’altro è la base della normale logica del comportamento umano, ma il problema che la Vaughan affronta è come mai gli uomini non si comportano così. Gli uomini rinunciano alla pratica del dono per costruire la propria identità in direzione del dominio, invece di quella del dare per nutrire.
È più semplice per chi sta al di fuori della logica dello scambio individuare e promuovere la pratica del dono come un paradigma non soltanto socialmente rilevante, ma che rappresenta la soluzione ai gravi problemi causati dallo scambio. Le donne, secondo l’autrice, possono riconoscere più facilmente degli uomini la presenza della pratica del dono in ogni situazione, perché ne hanno un esempio concreto derivante dalla loro esperienza di “donatrici”.
Per questo le donne sono l’avanguardia, le portatrici della pratica del dono come programma sociale, come nuovo modo di organizzare la società. Un’avanguardia rivoluzionaria che comprende, insieme a tantissime donne, madri di famiglia, casalinghe, chiunque stia inconsapevolmente donando ad altre ed altri tempo, lavoro, attenzione e cure.
Vaughan mette in luce quanta pratica del dono si sta svolgendo nel mondo in ogni momento ed è convinta che la pratica del dono sia il normale comportamento umano. Gli esseri umani sono prima di tutto esseri che donano e ricevono doni. Questa azione è la base del loro pensare e agire come del loro linguaggio. Possiamo finalmente tornare tutti e tutte sulla strada principale del dono, afferma l’autrice. C’è bisogno di una rivoluzione femminista, interiore e internazionale che avvii un cambiamento profondo che permetta a tutte le madri di curare i loro figli e figlie in abbondanza e ai figli e figlie di amare le loro madri.
Il mercato, e lo scambio che è la sua logica, sono un derivato del dono, una sua distorsione che cambia il dare nel non dare, il valore dell’altro nella misurazione del valore di scambio. Le pratiche di cura vengono bloccate e ostacolate dalla scarsità, voluta dallo scambio capitalistico e dai valori patriarcali che interpretano il dare come un gesto debole e inefficace o lo esaltano con enfasi eccessiva come sacrificio.
Il mercato crea una nicchia economica per l’idendità maschile, formata in contrapposizione e rivalità con la madre nutrice; rende l’abbondanza, di cui necessitano le società che utilizzano l’economia del dono, una possibilità solo per pochi nelle società avanzate.
Il sopruso legalizzato, le gerarchie autoritarie, le forme aggressive di competizione si estrinsecano nel capitalismo e funzionano come motivazione all’accumulazione. I valori del patriarcato e del capitalismo sono talmente intrecciati tra loro al punto da sembrare la stessa cosa. Se non vogliamo lasciare il campo libero, sostiene l’autrice, dobbiamo capire come si sviluppano e affrontarli in modo efficace. Urge capirlo adesso, perché ogni giorno che passa la situazione diventa più grave e la gente soffre sempre di più. Capitalismo, mercato e patriarcato sono cresciuti insieme e vanno smantellati insieme.
Occorre presa di coscienza e una rivoluzione interiore per poter affrontare le cause dei terribili problemi che ci stanno davanti. Ci vuole disponibilità profonda a pensare in modo radicalmente nuovo. Il comportamento pazzesco e pericoloso delle nazioni e dei singoli ha le sue radici nel punto di vista patriarcale che vive da secoli in Occidente nelle accademie, nei mercati, nelle religioni, nei governi. Vedere oltre questo punto di vista e riconoscere il cambiamento già in atto in quelle forme di vita e di politica che riescono a sottrarsi alle strutture parassitarie del sistema patriarcale-capitalistico significa saper vedere quello che veramente di nuovo sta accadendo nel mondo attuale.
Le varie idee che abbiamo della giustizia risentono molto della logica dello scambio, nel senso che ci fanno credere che si possa stabilire un’equazione fra danni e pensare che ci possa essere un “giusto pagamento” per un crimine. Questo lo abbiamo visto recentemente come giustificazione delle invasioni prima dell’Afghanistan e poi dell’Iraq, in rappresaglia dell’attacco dell’11 settembre, come se si potesse stabilire un’equazione fra danni, quantificando così l’inquantificabile. Durante la guerra “fredda” l’equazione dello scambio ha determinato la produzione di armi nucleari in un’escalation verso l’infinito. Gorbaciov ha messo fine a questa con il dono del disarmo unilaterale, cedendo il passo all’aspirante nuovo padrone assoluto del mondo, forse in questo modo salvando la pace in quel momento.
L’idea dell’economia del dono come paradigma per una nuova società è la base dalla quale criticare il mercato e il patriarcato. Allargando il campo del dono alla comunicazione e all’economia, il materno si colloca in un ambito ben più ampio di quello delle relazioni familiari. Questo allargamento di orizzonte ci consente di riallacciare i fili spezzati tra il materno e il resto della vita sociale e lavorativa, di vedere il mercato come comunicazione alienata che si fa nutrire dal materno in modo parassitario.
Viviamo in un sistema che sta devastando il pianeta e creando quotidianamente la fame e la morte di milioni di persone. Chi è ancora sensibile alle sofferenze dei molti e al disordine attuale del sistema rischia di farsi prendere dallo sconforto e dalla disperazione, come se si trovasse di fronte ad una malattia inguaribile, perché non vede l’aspetto della vita totalmente basato sul dono che continua ad esistere, nonostante tutto, e le forme di cambiamento sociale concretamente in atto.
Dare per soddisfare i bisogni altrui non modifica però automaticamente il sistema sociale. Bisogna infatti cambiare quel sistema per riuscire a soddisfare veramente i bisogni individuali e sociali.
Vaughan mette in discussione la validità del paradigma dello scambio. Lo studio della produzione e della distribuzione dei beni nella nostra società si basa sullo scambio, cioè su un doppio dono forzato, in quanto chi riceve deve restituire a chi dona l’equivalente di ciò che ha ricevuto, perciò non considera “economica” la pratica del dono, eppure il donare è produzione e distribuzione di beni, un sistema economico diverso.
La logica del dono e quella dello scambio, secondo Genevieve Vaughan, si contraddicono a vicenda. Trasformare il processo del dono in uno scambio di prodotti equivalenti annulla l’orientamento verso l’altro da parte delle persone coinvolte nello scambio.
La pratica del dono rimane invisibile e non riesce a diffondersi. Il paradigma del dono cede il passo, non entra in competizione con lo scambio e si trova nella condizione di dare valore e di offrire molti doni allo scambio. In realtà è lo scambio ad essere parassitario rispetto alla logica e alla pratica del dono. C’è un continuo flusso verso l’alto di doni diretto verso le posizioni più alte nelle gerarchie patriarcali.
Il plusvalore, quella parte di manodopera che non è pagata e che va a costituire il profitto del capitalista, può essere considerato un dono del lavoratore al capitalista dietro coercizione.
L’usanza di restituire un po’di più di quello che si è ricevuto è un modo per affermare il modello del dono, anche se si corre il rischio che venga recepito come uno scambio.
La tendenza a pagare le donne meno degli uomini per lo stesso lavoro può essere interpretata come un tentativo di mantenerle in una posizione volta a donare, rafforzando la pratica del modello del dono invisibile e obbligandole a dare ancora più lavoro-dono non pagato dei colleghi uomini.
Consideriamo poi i doni che arrivano ai ricchi dai poveri, al Nord dal Sud del mondo, alle economie basate sullo scambio dalle economie che sono ancora basate sul dono. Dai paesi in via di sviluppo provengono doni ai paesi sviluppati. Questo flusso non riconosciuto, viene letto in senso opposto: il Nord sembra così offrire prestiti, assistenza materiale, informazione, tecnologia, mercati, protezione e persino civilizzazione al Sud, mentre questo viene svuotato, paralizzato nel tentare di restituire quel “di più”, ossia l’interesse su ciò che gli è stato dato, mentre in realtà è servito soltanto a stimolare ulteriori doni nascosti che prosciugano le sue ricchezze.
Lo scambio capitalista galleggia come una schiuma sul mare dei doni nascosti fatti dalle donne, dagli operai, dai non retribuiti, dai sottopagati, dai poveri, dai disoccupati che con la loro domanda mantengono basso il giusto costo del lavoro e tutti gli appartenenti alle classi sociali e ai paesi che si trovano nella posizione di dover donare a classi e paesi privilegiati.
Vi sono poi i molti doni dei consumatori che pagano troppo cari alcuni prodotti il cui costo di produzione è relativamente basso, quali la benzina. Vi sono i doni del passato, il cui plusvalore è rappresentato dai doni gratuiti nella manutenzione di edifici, beni, valori d’uso. C’è un grosso flusso di doni non riconosciuti che scorre dal passato al presente, così come da individui a gruppi e paesi che sono nella condizione di donare a individui e paesi che sono nella condizione di prendere.
Ci sono infine i doni della natura, l’aria, l’acqua, la luce del sole che siamo nella condizione di ricevere creativamente, ma che cominciano a scarseggiare e inquinarsi perché vengono privatizzati, consumati di nascosto, sperperati. L’inquinamento costringe le generazioni future a consegnarci il loro potenziale utilizzo dei doni della natura, perché alcuni possano trarne un rapido profitto. Stiamo bloccando il flusso di doni che scorre verso il futuro. L’eredità comune viene commercializzata dall’industria biogenetica.
L’interazione di praticare e ricevere cure è oggi il vero fattore creativo e innovativo della società, non l’imposizione o l’osservazione delle leggi, né l’equivalenza dello scambio, né la costrizione della reciprocità.
Il donare, il cedere il passo, l’orientamento comunicativo verso l’altro, al posto della sopraffazione, dell’appropriazione, della mercificazione, sono principi fondamentali del significato del linguaggio e della vita che vanno resi visibili e praticabili.
nota
(1)
L’antropologo Marcel Mauss ha dedicato molta attenzione alla pratica del dono che vede composta di tre momenti: dare, ricevere, restituire. Ponendo però l’accento sulla “reciprocità” del dono, ha tenuto nascosta la natura comunicativa del semplice donare e questo non consente di vedere come opposti i due paradigmi del donare e dello scambio. Anche l’antropologo francese Levi-Strauss, verso la fine degli anni Cinquanta, parla del “dono”, quando descrive lo “scambio delle donne” tra gruppi familiari. Il limite di questi studi però è che considerano una curiosità la pratica di vita basata sulla madre, non il paradigma di un cambiamento sociale. Altri studiosi come Lewis Hyde (1979) e Jerry Martien (1996) si sono interessati allo scambio di doni e hanno cercato di riscattare l’idea di dono dalle costrizioni del capitalismo, ma forse perché non hanno avuto esperienza della pratica del dono con le loro madri quando erano bambini, tendono a collocare il modello del dono nel mito, nella fiaba, lo vedono come una cosa poetica del passato che è stata dimenticata, sotterrata, mantenendo così la pratica materna del dono dentro il modello dello scambio e della reciprocità, entro quindi i parametri patriarcali.
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